SWEDEN ROCK FESTIVAL – Sölvesborg in Blekinge, Svezia, 7-10 giugno 2023: il nostro live report!

SWEDEN ROCK FESTIVAL – Sölvesborg in Blekinge, Svezia, 7-10 giugno 2023: il nostro live report!

SWEDEN ROCK FESTIVAL 2023
PAROLE E FOTO DI ROMANO DEPOLO

30 anni di Sweden Rock Festival! Si tratta di un numero che fa riflettere, non solo per l‘importanza stessa delle edizioni svolte, ma perché anno dopo anno – tralasciando gli eventi cancellati a causa della pandemia – il responso degli utenti finali ha sempre seguito una tendenza in continuo miglioramento. Eppure ne sono cambiate di cose dalle prime edizioni, svolte nelle location di Olofström e Karlshamn, fino a quando nel 1998 il festival raggiunse la ‘Pardise City’ di Norje, vicino a Solvesborg, una sorta di ambiente perfetto per le colline naturali, le spiagge che danno sulle gelide – per noi latini – acque del mare del nord e per i prati sterminati, saggiamente riempiti di attrazioni per i fan. In realtà un cambiamento, importante, è avvenuto nel 2017 quando un’agenzia multinazionale ha preso di fatto il controllo dell’organizzazione. Quando ci si approccia ad eventi così importanti, la tattica migliore è cambiare il meno possibile. Ma cambiare un po’ alla volta. Così non sfugge a nessuno la ricerca di nomi altisonanti, la continua espansione dell’area del festival e il continuo crescere del numero dei biglietti venduti. La stessa area ‘VIP’ è in realtà terreno di conquista per tutti coloro che sono disposti a pagare un prezzo più elevato per godere di spazi riservati in cui, a volte, capita di intercettare gli artisti che escono dalle zone off limits. Il lato però più importante è sempre correlato all’ambiente spettacolare, alla perfezione sonora indipendentemente dal palco considerato (ce ne sono cinque), alle molteplici offerte gastronomiche e alla qualità dei gruppi invitati. Quest’anno anche il meteo ha voluto essere clemente, con temperature che non sono mai state troppo elevate – durante le ore pomeridiane – o troppo basse – di notte. Si, lo Sweden Rock Festival non sarà probabilmente il più grande festival europeo, ma è il posto in cui ogni fan del metal non vede l’ora di ritornare dopo la prima visita.

MERCOLEDÌ 7 GIUGNO

DYNAZTY – L’enorme collina che circonda lo Sweden stage ribolle di fan in febbrile attesa e non è normale che ciò avvenga in corrispondenza dei primi eventi del festival. I Dynazty hanno tutte le carte dalla loro parte: sono svedesi, sono dei bei ragazzi e sanno essere opportunisti al punto giusto per piacere un po’ a tutti. Nils Molin capisce che l’occasione potrebbe essere una di quelle veramente importanti e decide di dare tutto quello che ha, fin dalla prima nota di In the Arms of a Devil. Sono più hard rock o più tradizionali? La risposta sta sempre nel mezzo, brano dopo brano, con l’enorme folla letteralmente impazzita davanti agli assoli di Mikael Lavér. Alla fine il pubblico premia sia il repertorio più tipicamente power, tratto dai primi album, sia quello più melodico e moderno delle ultime fatiche in studio. Nils Molin arriva alla fine stremato, ma conscio di aver vissuto uno dei momenti artistici più intensi della sua carriera, senza essersi mai risparmiato e sapendo di aver contribuito a rendere la performance dei Dynazty una delle migliori in assoluto della quattro giorni svedese.

SOILWORK – Ci si sposta verso il palco principale, ma si resta in Svezia. Cambiano totalmente le sonorità, ma Björn “Speed” Strid non apprezza di essere confinato all’interno dei rigidi confini del melodeath e riesce ad essere sempre perfettamente a suo agio anche quando segue le evoluzioni sostanziali ed emotive della formula seguita in Övergivenheten, datato 2022. Ed è proprio il cantante a prendere il centro del palco, accentrando su di sé tutte le attenzioni dei presenti e offrendo una performance perfetta, supportato in modo impeccabile dai suoi compagni. Nell’ora a loro disposizione i Soilwork forniscono la consueta lezione di violenza sonora, anche se le bordate in corrispondenza dei frequenti inserti melodici risultano molto ben assestate, come nella spettacolare Is It In Your Darkness. Il chitarrista David Andersson, scomparso a settembre e motore musicale di Strid nella Night Flight Orchestra, viene omaggiato con un breve discorso. Harvest Spine e Death Diviner dimostrano alla perfezione come i Soilwork siano capaci di creare un’energia infernale senza mai perdere il controllo.

ENFORCER – Olof Wikstrand non è esattamente quel tipo di persona che avrà reagito con entusiasmo dopo aver saputo che la sua band si sarebbe esibita nel tendone Pistonhead, ma è altrettanto certo che la carica che gli Enforcer hanno riversato sui presenti fin dal primo istante della loro performance era la stessa che avrebbero elargito se di fossero trovati a suonare davanti a 20.000 persone! I musicisti sono entrati sul palco sgommando e non si sono mai risparmiati durante il loro set. Questo spirito è stato apprezzato dal pubblico che oggi può rivedere gli Enforcer con gli occhi di qualche anno fa, grazie al nuovo album Nostalgia che ha contribuito a occultare le critiche piovute dopo la pubblicazione dell’insipido Zenith. Gli Enforcer sono nuovamente un baluardo del metal tradizionale e non è un caso che quasi tutti i brani della set list provengono proprio dalla discografia remota del quartetto. Lo speed metal di Live For The Night e Katana soddisfa i fan che a fine set ne vorrebbero di più, ma il tempo a disposizione di Olof è finito. Per questa volta.

ANGRA – Si ritorna rapidamente allo Sweden Stage per assistere allo show degli Angra e la prima cosa che si nota sono gli enormi spazi vuoti davanti al palco. Un lungo silenzio discografico e qualche performance non proprio azzeccata durante il recente tour Sudamericano possono di fatto aver raffreddato la voglia di ascoltare la band brasiliana. La set list è ben studiata, coprendo tutta la discografia trentennale, ma i fan attendono con impazienza i brani dell’era Matos (ne saranno riproposti quattro). L’impressione è che al di là delle difficoltà di reinterpretare le linee rese celebri dall’indimenticato cantante, i musicisti rappresentino quei brani con una certa sufficienza. Attitudine che invece sparisce in occasione dei brani più recenti della loro discografia, con Marcelo Barbosa che non sbaglia neppure suonando bendato! Fabio Lione non se la cava male, ma la sua voce resta seppellita sotto gli strumenti e sembra finalmente risollevarsi solo a fine concerto. Il Fabio Nazionale conclude lo show ricordando che a settembre uscirà il nuovo album.

AIRBOURNE – Se c’è un musicista che non prende minimamente in considerazione le critiche ricevute per la proposta totalmente derivativa della propria musica, questo è Joel O’Keeffe! Gli Airbourne sono dei cloni degli AC-DC e svolgono il loro compito con trasporto, entusiasmo e convinzione. Proprio per queste ragioni risultano coinvolgenti e riescono a ottenere encomi da parte di tutti i fan dopo ogni concerto. La loro performance sul main stage è in assoluto tra le migliori del festival anche perché le enormi dimensioni del palco permettono al cantante di correre da una parte all’altra. Il trucco consiste nel non porsi troppe domande in merito alle varie canzoni, ma di farsi trasportare dal ritmo indiavolato e genuino di Ready To Rock e Stand Up For Rock ‘N’ Roll. Immancabile l’assolo di Joel O’Keeffe sulle spalle di un roadie, surfando tra i fan delle prime file. Ma non lo faceva anche qualcun altro?

TESTAMENT – Le ragioni per cui certi gruppi sono sulle scene da trenta e più anni consiste non solo nel dono di saper scrivere album di alto livello, ma specialmente nella capacità di inanellare performance dal vivo impeccabili. Anche questa volta la lezione di violenza è stata impartita dai californiani con precisione e tecnica. Non ci sono state pause o flessioni e lo stesso Chuck Billy ha limitato al massimo l’interazione con il pubblico, limitandosi a ordinare il moshpit nelle prime file. È proprio il grande capo a stupire per la brutalità della sua voce, sempre precisa e tagliente, fregandosene degli anni che passano. The Preacher e Practice What You Preach sono macigni resi ancora più contundenti dalla tecnica perfetta di tutti i musicisti. Ma se le doti di Skolnick, Peterson e DiGiorgio sono note a tutti, vale la pena sottolineare la devastante performance del giovanissimo batterista Chris Dovas, per nulla intimorito dai nomi dei musicisti che si sono seduti nel passato dietro al drum kit dei Testament. Over the Wall e Into the Pit distruggono quel poco che non era ancora stato demolito e mettono fine a uno show potentissimo.

DEF LEPPARD – C’era una volta la NWOBHM, con i suoi dogmi, i suoi messaggi e l’ira alternativa di chi non si riconosceva nel punk o nel progressive rock. Sono tanti i gruppi che hanno fatto parte di questa ondata e i Def Leppard sono, da sempre, considerati i bravi ragazzi dalla faccia pulita, per la trovata di sostituire la rabbia con la classe sopraffina. Se i Def Leppard sono uno degli headliner dell’edizione 2023 dello Sweden Rock Festival, a 45 anni di distanza dal loro primo singolo, devono ringraziare il salto di paradigma che li ha portati a scrivere brani che, ancora oggi, continuano a far sognare orde di fan a tutte le latitudini. La classe pervade ogni accordo, ogni movimento, ogni nota che Joe Elliot raggiunge ancora oggi con sicurezza. Ma i Def Leppard non sono solo una cover band di loro stessi perché riescono a risultare musicisti credibili nonostante qualche aiuto di troppo in fase di produzione. La set list? La migliore possibile, anche perché se ci fossero state altre 15 canzoni il risultato sarebbe stato lo stesso, a condizione di non perdere mai di vista il capolavoro assoluto che risponde al nome di Bringin’ on the Heartbreak. La scenografia? Spettacolare, come le immagini amarcord proiettate a fondo palco poco prima della fine. Questi ragazzi di cosa da dire ne hanno ancora tante, anche dal vivo.

Mötley Crüe – La definizione che accompagna l’ultimo album dal vivo del gruppo di Los Angeles (The End) è vero come una moneta da 3 Euro … ma lo sapevamo tutti che interessi convergenti e l’incapacità dei fan di accettare la parola fine avrebbero prima o poi riportato i Mötley Crüe a ripalesarsi nonostante gli esiti non particolarmente lusinghieri delle ultime performance dal vivo. I fan hanno sempre ragione, e quindi ecco la messinscena del 2023. Mick Mars non fa parte del circus, ma il suo sostituto John 5, al di là dell’outfit discutibile, rappresenta indubbiamente la parte più valida della band nel 2023. L’idea di distrarre il pubblico con due ballerine svestite funzionava mille anni fa, ma oggi i fan sono più scafati, per cui non sfuggono i problemi di ogni natura che si susseguono durante l’esibizione. Una volta i Mötley Crüe erano affamati, concentrati e smaniosi di arrivare sempre più in alto, per cui le loro limitazioni tecniche non erano così evidenti. Nel 2023 i motivi che li fanno salire su un palco sono diversi e il risultato dei loro sforzi ne subisce le conseguenze.

GIOVEDÌ 8 GIUGNO

LITA FORD – Uno dei grandi punti di forza dello Sweden Rock Festival consiste sicuramente nell’esercitare un forte richiamo verso molti artisti che sono disposti a vedersi assegnare uno slot pur non essendo in tour in questo periodo dell’anno. In questo modo i fan hanno la possibilità di assistere ai concerti di artisti che non è possibile vedere ad altre latitudini, ma ciò a volte genera flop spaventosi, come nel caso di Lita Ford. I tempi di Cherry Bomb sono ormai lontanissimi e l’aver saputo costruire una brillante carriera solista, non è una ragione sufficiente per continuare a calcare i palchi con risultati che rischiano di far dimenticare i fasti del passato. L’approccio grintoso, le pose studiate, i sorrisi (non sempre spontanei …), non mancano, accompagnati da una forma fisica invidiabile, ma la voce nella prima parte del set non c’è e se non fosse per il supporto dei cori assisteremmo quasi a un set acustico. Alla fine alcuni brani storici come Kiss Me Deadly fanno rivivere emozioni lontane, ma forse sarebbe stato meglio seguire scelte diverse nel distribuire gli inviti.

BRITISH LION – Ci sono band che dal vivo riescono a trovare il loro ambiente ideale per rimuovere quell’effetto che le rende incapaci di emozionare su disco. I British Lion di Steve Harris fanno sicuramente parte di questa categoria perché i loro brani suonati dal vivo (in special modo quelli di The Burning) sembrano luccicare di un’energia sconosciuta. Tutto questo per dire che la folla che assiepa la collina antistante lo Sweden Festival non si esalta solo per la tipica grinta del bassista più celebre del mondo, ma anche per una serie di brani che pur sviluppandosi su sonorità all’antitesi con quanto fatto dai Maiden, risultano piacevoli e in alcuni casi avvincenti. Lo stesso cantante Richard Taylor guadagna parecchi punti dal vivo, pur non risultando particolarmente ingegnoso nel ruolo di frontman e non riuscendo sempre ad adeguare la voce in funzione delle linee melodiche suonate dalla coppia di chitarristi Leslie – Hawkins. Alla fine c’è soddisfazione da parte di tutti ed è facile pensare che i due album del gruppo britannico saranno per molti oggetto di riesame.

U.D.O. – Pur provando un enorme rispetto per il ‘colonnello’ Dirkschneider, non ci saremmo mai aspettati di veder suonare la sua band sul palco principale dello Sweden Rock Festival. L’immarcescibile cantante tedesco ha sfruttato l’occasione per presentare una carrellata di successi che ha coperto tutta la sua carriera solista, tralasciando quindi ogni richiamo dei tempi dorati degli Accept. A tal proposito fa piacere rivedere al basso il vecchio compagno di tante battaglie, quel Peter Baltes che dopo 40 anni ha abbandonato la nave madre Accept. Cosa dire di Udo Dirkschneider? Quando si arriva ai suoi livelli non ha molta importanza se uno è giovane o anziano, alto o basso, magro o grasso … perché è una leggenda e sul palco esprime sensazioni autentiche. I brani non hanno la profondità di quanto fatto con gli Accept, ma permettono di evidenziare una lunghissima carriera che è sempre stata affrontata con grande orgoglio e immensa fedeltà metallica! Brani come Animal House, 24/7 e Man And Machine sono stati l’apprezzata colonna sonora di una set list ‘true’ fino al midollo … come lo è il colonnello!

KAMELOT – Rinvigoriti dalla prima parte del tour europeo, i Kamelot si presentano al giudizio dello Sweden Rock Festival con un piglio che non vedevamo da tempo! Tutto sembra al suo posto, come se qualche recente flessione stilistica non fosse mai avvenuta. Merito, senza dubbio, dello stato di forma del cantante Tommy Karevik, adorato dai suoi connazionali ben prima di presentare la bandiera svedese in occasione di One More Flag In The Ground, ma anche di una scaletta che permette alla band di inserire i convincenti brani tratti dal recente The Awackening che evidenzia un ritorno verso le eleganti sonorità del passato. Il passato ha però le spalle grosse e quando i macigni che portano il nome di Karma, March Of Mephisto e Forever irrompono dal Rock Stage il pubblico consolida nuovamente il proprio rapporto con il gruppo americano. Thomas Youngblood osserva e apprezza, mentre la corista Melissa Bonny (Ad Infinitum) demolisce l’impianto audio con il suo growl in occasione di Liar Liar. Prestazione solida, iperenergetica e assolutamente convincente.

MYRATH – La band tunisina è entrata di fatto nei cuori dello Sweden Rock Festival nel 2019, quando ha accettato di suonare al posto degli headliner di una delle serate (Behemoth), raddoppiando lo show che avevano da poco presentato nel pomeriggio. Sarà anche per questo motivo che la band di Zaher Zorgati è arrivata al festival sapendo di dover fare tanto per riuscire a ottenere un successo superiore rispetto all’ultima partecipazione. La verità è che ci sono riusciti, perché lo show dei Myrath è stato in assoluto quello più intenso, potente e partecipato dei quattro giorni. Merito di una prestazione tecnica ineccepibile, di brani spettacolari (compresi i quattro estratti inediti che troveranno spazio nell’album di prossima pubblicazione), di scenografie spettacolari con un gruppo danzante, giochi pirotecnici al limite dell’esagerazione, danzatrici del ventre e della solita perfetta performance dei Myrath cui ormai mancano solo gli ultimi 100 metri per raggiungere la posizione che la loro musica merita!

DEEP PURPLE – Fa tanto male vedere un’icona come Ian Gillan in grossa difficoltà nella prima parte del concerto. È evidente che senza la sua partecipazione, l’impatto del concerto della sua band non può essere sicuramente lo stesso, e così brani storici come Highway Star, Into The Fire e specialmente Pictures Of Home passano inosservati, quasi a non voler rimarcare che c’è qualcosa che non va. Ian Paice e Roger Glover sono sempre lì, intenti a supportare tutto il peso dello show sulle loro spalle ed è quindi una gioia veder riemergere a poco a poco la voce del cantante dopo il lungo assolo di tastiere. Parte quindi una seconda parte del concerto, completamente diversa dalla prima, in cui la band appare nettamente a proprio agio sulle assi del palco principale, snocciolando successi del passato alternati a brani più recenti. Qualcuno potrebbe dimenticare che i tre membri originari della band hanno già superato i 75 anni di età.  Il top del concerto? Per chi scrive, Anya e l’immortale Perfect Strangers!

EUROPE – La band di Joey Tempest fa ormai parte dei classici ospiti dello Sweden Rock Festival, ma il fatto non va interpretato come un regalo fatto dalla band all’organizzazione, bensì come l’ennesimo regalo che l’organizzazione fa ai fan di Solvesborg assiepati sotto al Rock stage. Gli Europe del 2023 non sono solo la band che fece centro nel 1986, ma sono un gruppo composto da musicisti di altissimo spessore che riescono ancora a risultare credibili sul palco indipendentemente dal successo ottenuto negli anni ottanta. La spettacolare capacità di suonare con la stessa intensità i capolavori senza tempo degli anni ottanta e le piccole magie composte nella seconda parte della loro carriera che portano i nomi di War Of Kings And Walk The Earth rende gli Europe un gruppo dalla classe inarrivabile. Il pubblico resta ammaliato davanti a uno spettacolo di questa portata, fino al momento del risveglio che avviene sulle note di The Final Countdown.

VENERDÌ’ 9 GIUGNO

H.E.A.T – Sono passati 15 anni dalla prima esibizione degli H.E.A.T allo Sweden Rock Festival e in questo periodo il gruppo di Upplands Väsby ha fatto una carriera che non lo pone più tra le speranze per il futuro, ma tra le certezze del presente. A conferma di tutto ciò, il concerto ha luogo sul palco principale e nonostante l’ora, la massa dei presenti è già impressionante! Back To The Rhythm accende la miccia per la deflagrazione che smetterà solo a fine concerto e l’uomo che gestisce lo spettacolo è Kenny Leckremo, diventato un frontman di livello altissimo che senza sbagliare mai una nota, corre in continuazione da un lato all’altro del palco. Energia e melodia scorrono a dosi massicce durante le varie Rock The Body e Beg, Beg, Beg e il pubblico da prova di apprezzare la pulizia tecnica della band, ma anche l’aspetto più legato all’intrattenimento, perché gli H.E.A.T. hanno un approccio dal vivo che solo i migliori possono vantare. La verità è che questi svedesi sono talmente bravi che il nomignolo di “nuovi Europe” comincia a star loro stretto!

TNT – Anche se abbiamo perso il conto delle volte in cui Tony Harnell ha deciso di riappacificarsi con Ronni Le Tekrø per poi andarsene dopo poco tempo sbattendo la porta, cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi senza preoccuparci del futuro. Ascoltare i brani di inizio carriera dei T.N.T. con il cantante americano alla voce regala emozioni che pensavamo perse e le sue performance in brani come Intuition, 10.000 Lovers (in One) e Seven Seas confermano che il sessantenne cantante di New York è in forma più che mai. C’è anche da festeggiare il quarantennale della band, per cui tutto sembra filare liscio. La sorpresa negativa prende le sembianze di un inconveniente tecnico che mette parzialmente fuori uso il basso di Sid Ringsby e obbliga la band a rivedere parzialmente la scaletta. Il momento più toccante? Quando Harnell ha cercato di spiegare le emozioni che provò quando vide per la prima volta l’aurora boreale in Norvegia: Northern Lights venne scritta proprio per descrivere quello stato d’animo.

MIKE TRAMP / SONGS OF WHITE LION – La voglia di fottersene di tutto ciò che accade attorno a noi, per perseguire un obiettivo, per tracciare una strada, per ravvivare un ricordo … questo e altro deve aver spinto Mike Tramp a riesumare (non per la prima volta) le sacre canzoni griffate White Lion, composte a cavallo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta. Se i pantaloni di scena di 30 anni fa riescono ancora a contenere il corpo del cantante danese, ci sono altri problemi di cui preoccuparsi: la voce, pur essendo assolutamente presentabile, non è quella di una volta e qualche scivolata nella prima parte dello show lascia il segno, al punto che Wait non sembra neppure la copia dell’originale. L’aspetto principale è che oggi il 62enne cantante si trova a capitanare una cover band di sé stesso e quindi, al di là dell’impatto di canzoni che saranno per sempre adorate da tutti i fan dell’hard rock come Little Fighter e Broken Heart, ci si potrebbe domandare se forse non è giunto il momento che Tramp guardi verso il futuro, senza questa folle ossessione verso il passato che non sarà mai più presente.

POWERWOLF – I Powerwolf hanno raggiunto la propria vetta artistica e compositiva quando non erano ancora all’apice della loro carriera. La celebrità ha avuto l’effetto di privare di quella rabbia primordiale il quintetto tedesco che è improvvisamente riuscito a crescere a dismisura nei cuori dei fan, ma ha iniziato una ripetitività compositiva che fortunatamente lascia pochissime tracce dal vivo. I Powerwolf, oggi, sono uno dei gruppi power più efficaci e divertenti dal vivo perché pur risultando sarcastici, riescono sempre a restare all’interno di quel sacro circolo che è visto come il limite tra intuizione e pagliacciata! Sarà il trucco di scena, saranno le pose truci dei “gemelli” Greywolf, sarà la presenza carismatica di quell’animale da palcoscenico che porta il nome di Attila Dorn, ma dal vivo i Powerwolf sono una sentenza a tutte le latitudini. Trovarsi davanti a 20.000 persone non deve essere facile per nessuno, ma ormai la band tedesca è un meccanismo oliato e perfettamente efficiente, supportato da brani che ancora oggi risultano essere contundenti come Resurrection By Erection e Werewolves of Armenia.

IRON MAIDEN – Ancora sulle scene dopo 45 anni, ancora headliner nei principali festival europei estivi, ancora idolatrati dai propri fan. Ecco gli Iron Maiden, band inossidabile per eccellenza, voluta da tutti, amata da tanti a discapito di qualche recente scivolone discografico. Ci sono quasi 40.000 persone davanti al festival stage e al di là degli spoiler sulla scaletta è difficile pensare che ci siano tante versioni univoche nelle menti di chi sta attendendo l’accensione delle luminarie. Doctor Doctor, lascia lo spazio a End Titles (da Blade Runner) prima che l’esplosione di luci e gli accordi di Caught Somewhere in Time rivelino i 6 musicisti. È sempre difficile risultare oggettivi quando si ammira il suono della storia del metal, ma la soddisfazione per il concerto permette di superare piccoli dubbi in merito alla scaletta (qualche brano storico in più sarebbe stato sicuramente apprezzato) e lascia increduli i presenti non solo per la longevità artistica della band, ma specialmente per le singole prestazioni. Se Dickinson sembra uno degli androidi di Blade Runner per la sua  forza fisica superiore agli uomini, Adrian Smith dispensa note immortali dalla sua sei corde, più attento a ogni singolo accordo che ad apparire. A volte Nicko McBrain rallenta il suo drumming (Fear Of The Dark) ma riesce sempre a destreggiarsi innanzi alle complesse partiture delle canzoni presentate. Alla fine l’impressione è che gli Iron Maiden siano oggi ancora migliori rispetto a quanto fatto vedere qualche anno fa. Possiamo solo sperare che ciò continui. Ancora a lungo! Speriamo però che l’abitudine di permettere l’accesso al photo pit ai soli fotografi di riviste e webzine provenienti dal paese in cui si sta suonando non continui così a lungo …

BEHEMOTH – Non deve essere facile esibirsi dopo un concerto degli Iron Maiden, ma Nergal nella sua vita ha saputo superare prove ben più complesse. Se c’è un aspetto su cui i Behemoth hanno dominato è sicuramente quello legato alla scenografia e agli effetti speciali, che hanno surclassato tutto quello che si è visto nella quattro giorni di Sovesborg, grazie a delle inquietanti strutture costruite sul palco e a giochi pirotecnici sublimi. Non so come possa essere l’inferno, ma credo che la rappresentazione scenografica offerta dal gruppo polacco ai propri fan ne sia terribilmente vicina. In questo ambiente ostile al genere umano, il black metal atmosferico totale dei Behemoth, accompagnato da alcune grafiche di sfondo che potremmo definire disturbanti, ha perfettamente realizzato gli obiettivi della band, creando una totale sudditanza nel pubblico durante la triade Deathless Sun, Blow Your Trumpets Gabriel e Once Upon a Pale Horse. A fine concerto – nonostante la temperatura rigida – l’impressione è che non fossero molte le persone che avevano lasciato il festival durante l’esibizione. Potere dei Behemoth!

THRESHOLD – Uno slot allo Sweden Rock Festival non deve mai essere sottovalutato, ma non è facile iniziare a suonare a mezzanotte quando la temperatura scende sotto i dieci gradi. Il quintetto inglese è carico al punto giusto per non dare troppa importanza al profondo buio di Solvesborg e alla temperatura, consapevole che il materiale discografico composto negli ultimi anni è di ottimo livello. I fan concordano pienamente e, seppur limitata in quantità, la massa di fan davanti al piccolo Blåkläder Stage fa sentire il proprio supporto ai Threshold, ammaliata innanzi alla performance di un gruppo che meriterebbe scenari ben diversi per la grande qualità della propria musica e per un approccio allo stesso tempo umile ma consapevole. La scaletta pesca a piene mani dal materiale più recente con Glynn Morgan alla voce e la scelta paga in termini di qualità e di riscontro da parte del pubblico. Oggi i Threshold sono una realtà in ambito progressive metal e dal vivo riescono a mantenere in alterato un livello altissimo.

SABATO 10 GIUGNO

WVH MAMMOTH – Edward e Wofgang, così diversi, ma così simili … sarebbe troppo facile ricamare sulle differenze presenti tra questi due personaggi per arrivare a conclusioni che il giovane VH non vuole prendere in considerazione. Va quindi ammirato il suo candore, nella speranza che il peso delle offerte non faccia vacillare la sua tenace resistenza. Nel frattempo deliziamoci con il metal rock di questo poliedrico artista, capace di suonare ogni strumento e dotato di una capacità compositiva che può solo destare meraviglia. Il fatto che Wolfgang sia un predestinato si capisce direttamente dal fatto che a 31 anni di età ha già suonato con Van Halen e Tremonti, due band che non sono sicuramente di secondo piano. Ora è il tempo della carriera solista e il chitarrista americano accoglie e piene mani e con spirito paterno i brani dal suo primo album prima di regalare al pubblico svedese due estratti inediti che saranno inclusi nel nuovo album che uscirà tra poco. Conta poco il fatto che lo stage acting non risulti particolarmente appariscente, perché il suo modo di suonare la chitarra e la sua voce lo mettono nelle condizioni di poter fare tutto ciò che vuole. A metà del set trova spazio il momento in cui suo padre si pone idealmente al suo fianco su Distance e Think It Over.

SYMPHONY X – Che fine ha fatto la band di Michael Romeo? Quest’affermazione fa sanguinare il cuore, ma la performance dei Symphony X è stata purtroppo limitata al compitino, in modo da poter ricevere i complimenti dei presenti, ma ci saremmo aspettati qualcosa di più da una band di questo livello che per varie ragioni, non si è fatta mai vedere in Europa negli ultimi tre anni. Invece la set list è la stessa del tour sudamericano precedente con quattro brani tratti da Iconoclast (l’ultimo album, pubblicato nel 2015) per cui ai lavori precedenti sono riservate solo le briciole. Nulla da dire sulla performance dei musicisti, tecnicamente impeccabili e inarrivabili, come sempre. Michael Romeo impartisce la sua classica lezione da guitar hero, mentre Russell Allen non fatica troppo per far capire a tutti che – potenzialmente – è il miglior cantante dell’edizione 2023. Manca però quel travaso di energia per trasformare la parte finale della scaletta in qualcosa di eterno. Ci saremmo aspettati qualcosa di più … divino!

SKID ROW – Chi ci ha guadagnato con il passaggio dello spettacolare Erik Grönwall dagli H.E.A.T agli Skid Row? Sicuramente la band americana ha trovato l’uomo che – tralasciando i pareri delle vecchie megere nostalgiche – ha le carte in regola per prendere il posto nel cuore dei fan che fu di Sebastian Bach. Partiamo dalla convinzione che Erik non ha limiti e vocalmente è in grado di fare quello che vuole. Ciò lo pone in cima alla classifica di tutti coloro che si sono sbizzarriti dietro al microfono del gruppo americano dall’inizio della loro attività. Trovandosi a far riferimento su questa inesauribile fonte di energia, gli Skid Row hanno preparato la scaletta ideale perché la maggior parte del materiale è tratto dai primi due album (80% dei brani). Non sono mancati intelligenti estratti dai lavori più recenti come The Gangs All Here, Not Dead Yet e Timebomb, ma il confronto con i classici del passato è impietoso. L’augurio è che gli Skid Row sappiano fare tesoro della presenza di Erik Grönwall anche in studio, trovando l’ispirazione giusta per un album che sappia replicare la qualità di inizio carriera.

ALTER BRIDGE – Si iniziano a contare le prime defezioni davanti al capiente Festival Stage. La decisione di far esibire gli Alter Bridge in un momento così cruciale del festival non incontra i favori di tanti fan che si spostano a cercare sollievo nelle ampie zone d’ombra (non ci vorrà tanto tempo) o che si posizionano in anticipo innanzi al palco dirimpettaio per assistere allo show tra le prime file. La band è stata capace di aprire nuovi orizzonti all’interno della musica hard rock e questo suono alternativo viene premiato con i primi brani della set list, Silver Tongue e Addicted To Pain. Il dibattito su Myles Kennedy è sempre aperto, nel senso che tutti riconoscono che abbia una voce fantastica e un carisma di livello assoluto, ma molti sostengono che non abbia le doti di grande intrattenitore. La serata di Solvesborg può solo confermare entrambe le interpretazioni. Per fortuna c’è Mark Tremonti che non disdegna ampie passeggiate che lo portano a percorrere più volte l’enorme spazio tra i due estremi del palco. Ed è proprio il chitarrista l’elemento di rottura dello show, al punto da apparire più esaltato dei rumorosi fan delle prime file. Al di la delle scelte stilistiche, l’immagine che resterà nella testa dei fan è quella di quattro musicisti che riescono ancora a divertirsi suonando la loro musica, senza false pose, senza scenate, ma con tanto entusiasmo!

PANTERA – Si è parlato tanto di questa reunion, forse troppo, dimenticando l’importanza dell’aspetto emotivo e esagerando il peso delle ragioni di natura economica. La verità è che per i fan della band americana, avere la possibilità di riascoltare dal vivo brani storici, suonati da musicisti di altissimo livello è condizione sufficiente per dare tutto il sostegno possibile all’iniziativa. Questo è il modo che ci piace supportare e rappresenta, per chi scrive, l’unico modo di commentare il concerto perché oggi Rex e Phil sono i Pantera! Charlie Benante e Zakk Wylde si trovano a indossare gli abiti dei fratelli Abbott e lo fanno con umiltà e con la tecnica che li contraddistingue. Phil Anselmo si conferma in buona forma, anche se l’importanza dell’evento ci faceva pensare che avrebbe potuto osare un po’ di più. La verità è che gli eventi non si possono cancellare e che quello che è stato non sarà mai più, ma se esiste una cosa che ha valore, non solo per i fan, è l’attitudine e chiudendo gli occhi, durante A New Level e Mouth for War, il livello è buono … molto buono!

GHOST – Continuo a osservare con molto scetticismo la crescita esponenziale del progetto di Tobias Forge, supportato da songwriter esterni, accentratore e vocalmente dotato come la maggior parte degli esseri umani, o forse solo un poco di più. Va sicuramente riconosciuto che gran parte del pubblico dello Sweden Rock 2023 si trova davanti al Festival Stage con una gran voglia di assistere allo show dei Ghost. Ed effettivamente tutto è perfetto, uno spettacolo che tende quasi ad incutere remissione tanta è la potenza espressiva del personaggio Forge. Poco conta, apparentemente, che la musica non sia, in realtà, la protagonista dell’evento, ma solo una delle parti dello show. Poco conta che, musicalmente, i Ghost siano come un puzzle di immagini diverse. La verità è che i Ghost hanno vissuto una lunga metamorfosi graduale che li ha trasformati fino a diventare un grandioso mix di teatro, film e concerto rock, che è proprio ciò che al giorno d’oggi i fan sembrano prediligere. Nessuno negherà che tutto quanto è avvenuto durante lo show sia geniale, fino alla drammatica e breve resurrezione del papa di bianco vestito durante Miasma. Tutte queste perplessità sfuggono alla vista di Tobias Forge e al suo esercito musicale di Nameless Ghouls perché ciò che rimarrà loro in mente sono i 40.000 dello Sweden Rock a osannarli.

Emanuele Biani

Lascia un commento