ROCK IMPERIUM FESTIVAL CARTAGENA – il nostro live report!

ROCK IMPERIUM FESTIVAL CARTAGENA – il nostro live report!

ROCK IMPERIUM FESTIVAL – CARTAGENA
LA POTENZA DELLO STARGATE
DI ROMANO DEPOLO
24 GIUGNO 2022

È possibile organizzare un festival di musica metal nel centro storico di una città con più di 200.000 abitanti? È possibile includere nel tabellone gruppi del calibro di Scorpions, Avantasia, Whitesnake e Europe pur trattandosi della prima edizione in assoluto del festival? Madness Live, promoter molto attivo in Spagna negli ultimi anni, è riuscito nell’impresa con una caparbietà che – forse – è stata presa proprio dagli antichi romani. D’altro canto, tanti conoscono le radici romane della città di Cartagena, confermate dallo spettacolare anfiteatro che fa bella mostra di sé a pochi passi dal mare, per cui usare per il festival il termine Imperium, associato all’immagine dei centurioni è sembrata una scelta corretta da ogni punto di vista.

L’area del festival è delimitata da un lato dalla muraglia di Carlos III (dietro alla quale si trovano gli edifici dell’università locale) e dall’altro da una delle strade principali che conducono al porto. In questo rettangolo si sviluppa il Parco El Batel, un enorme giardino strategicamente scosceso, all’interno del quale sono stati inseriti, nella parte più bassa, i due palchi principali. Ciò permette una buona visione fin dall’entrata del parco, posta a 150 metri dai due stage (Imperium e Estrella Levante). Nell’area del porto, a 10 minuti dal Parco, è stato poi costruito il secondo polo del festival che vedrà esibirsi gruppi durante tutte due giornate.

Un festival bipartisan, che cerca di associare act moderni e in crescita a grandi classici … ma che alla fine punta proprio sull’effetto Stargate per far rivivere ai presenti le grandi emozioni del passato, quando il metal era un’entità unica, quando l’ottimismo regnava sovrano, quando Virus era solo una canzone cantata da Blaze Bayley …

L’onere di aprire le danze della prima giornata spetta ai Lándevir gruppo locale che può già contare su un’esperienza musicale importante, avendo giù pubblicato ben 5 album. Il loro metal, in perenne equilibrio tra il folk e hard rock, riesce a impressionare favorevolmente i presenti che iniziano ad assieparsi davanti al palco grazie anche all’intervento di alcune ballerine che fanno risaltare l’impatto visivo. Non si vive di sole danze e di fluato e José Mancheño si fa valere, riuscendo a gestire alla grande voce e pubblico.

Nel frattempo il pubblico, già numeroso, si accumula davanti al secondo palco per lo show dei nostri Rhapsody Of Fire, che hanno parecchi obiettivi da raggiungere durante il loro set: proporre i brani del nuovo album Glory For Salvation, presentare il nuovo batterista Paolo Marchesich, ribadire la gran voglia di suonare dal vivo dopo più di due anni di interruzione. Tutto fila per il verso giusto, con Giacomo Voli che riesce a entrare subito in sintonia perfetta con il pubblico anche se c’è poco spazio per le parole e le lunghe presentazioni. I nuovi brani sono perfetti dal vivo, ma quando è il turno della Spada di Smeraldo, Cartagena non si perde neppure una parola, confermando che esistono brani immortali!

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Lo Stargate nascosto nel backstage dell’Imperium Rock ci trasporta ancora più indietro, quando in Germania ci furono le prime risposte ai Big Four che dall’altra parte dell’oceano avevano inventato il thrash. I Sodom hanno sempre interpretato con enorme orgoglio il loro ruolo e la muraglia di Carlos III riesce solo a stento a contenere le reazioni del pubblico alle rasoiate terminali di Frankie Blackfire e le incitazioni del prelato Tom Angelripper. I fan vogliono rivivere la storia e la band tedesca risponde con vere e proprie leggende da culto come Sodom And Gomorra e la mitica Agent Orange. Forse tutto non sarebbe mai iniziato senza colui che compose Iron Fist, per cui la scelta di omaggiare Lemmy viene accolta con enorme rispetto dal pubblico anche perché le leggende hanno sempre ragione.

Nell’ambito di un festival multi genere è frequente che ci siano gruppi che presentano pochi punti di contatto stilistico con tutte le altre band. Al Rock Imperium questo riconoscimento poco invidiabile è toccato al rock alternativo (ma lo possiamo anche chiamare post grunge) dei britannici Bush (chiamati a sostituire i Loudness …). La cancellazione delle tre date italiane di metà giugno aveva fatto temere che anche la trasferta spagnola potesse saltare e invece il quartetto guidato dalla voce severa di Gavin Rossdale si è puntualmente presentato sulle assi dell’Imperium Stage per presentare una set list in perenne equilibrio tra il glorioso passato di Sixteen Stone e il nuovo The Kingdom.

Il sole a picco sulle assi del palco Estrella Levante non è forse l’ambientazione più adatta per lo show dei Lacuna Coil, ma il pubblico sotto lo sguardo truce di Richard Meiz, non vuole perdersi neppure un secondo. L’area antistante al palco è totalmente stipata, con Cristina e Andrea che attaccano separatamente due diverse zone del pubblico. I loro cappucci neri non resistono a lungo al loro posto, anche perché i due cantanti non si risparmiano, cercando quasi il contatto fisico con il numeroso pubblico. La verità è che la band è carica, Andrea ammicca e Cristina vola con la sua voce meravigliosa, ma è tutta la band a sfoderare da subito una grande energia durante la propria esibizione e poco conta se il trucco si sta sciogliendo … La scaletta è principalmente incentrata sugli estratti da Black Anima, ma non sono mancati i tuffi nel passato di Dark Adrenaline e Delirium.

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Gli Avatar adorano le esagerazioni, sia da un punto di vista musicale che di attitudine sul palco, al punto che potrebbero essere perfetti per presentare la colonna sonora di una versione moderna del film Arancia Meccanica. La melodia ispanica che suona in sottofondo mentre John Alfredsson offre delle rose rosse alle ragazze delle prime file, si trasforma all’improvviso in Hail the Apocalypse che impatta fisicamente sul pubblico anche per il feroce headbanging dei musicisti sul palco. L’istrionico Johannes Michael Gustaf Eckerström si conferma intrattenitore di razza, sempre sicuro dei suoi mezzi anche quando dialoga con il pubblico, ma è innegabile che la fonte principale del suo divertimento sia rappresentata dai messaggi lanciati con violenza all’interno di brani come Colossus e Bloody Angels.

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Gli Amorphis sono la dimostrazione definitiva di come sia possibile arrivare ad un grande livello di notorietà pur percorrendo delle strade ben diverse dall’integralismo stilistico. La loro traiettoria musicale li ha portati a percorrere diverse strade, ma non ha intaccato la qualità della loro proposta. Probabilmente l’aspetto live non è la qualità principale del gruppo, ma la superba performance vocale di Tomi Joutsen permette di superare alla grande la fredda calma nordica con cui la band affronta il palco. La band finlandese ha preparato un repertorio adatto a tutti i fan, dando priorità a molte canzoni in cui il growl funge solo da contorno. L’accoppiata iniziale NorthwardsOn The Dark Waters ha introdotto nel migliore dei modi il nuovissimo album Halo, ma non sono mancati rimandi alla discografia più datata che hanno permesso di godere di una scaletta perfettamente equilibrata.

Solo pochi istanti dopo l’inizio dei primi accordi, l’enorme striscione che nascondeva il palco riservato ai  Black Label Society è calato svelando i musicisti, mentre il fumo artificiale invadeva il palco al suono di Bleed For Me. Il leggendario Zakk Wylde è la perfetta action figure di sé stesso, inchiodato a cantare dietro al portamicrofono costruito su un crocifisso attorniato da teschi. Il suo ondeggiare al ritmo di Destroy And Conquer e di Heart Of Darkness è ipnotico, così come la sua voce. Il commosso ricordo di Dimebag Darrell e di Vinnie Paul dei Pantera ha trovato il suo giusto spazio in occasione di In This River, con Zakk che si è esibito al pianoforte con le immagini dei defunti sullo sfondo, ma senza voler togliere nulla ai fratelli Abbott, il momento più toccante dello show è stato il lungo assolo suonato spalla contro spalla da Zakk Wylde e dall’eccellente Dario Lorina.

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Avere un headliner come gli Avantasia mette al riparo da ogni possibile tipo di sorpresa negativa e allo stesso tempo garantisce una notevole variabilità allo show, grazie alle istrioniche doti di Tobias Sammet, il musicista germanico meno tedesco della scena mondiale. Il progetto, oltre al mastermind di Fulda, si basa su cinque strumentisti eccellenti, su un coro composto da tre cantanti e su cinque ospiti che si alternano alla voce nei vari brani. Si sapeva che non ci sarebbe stato Michael Kiske e così Sammet ha pensato bene di invitare al suo posto Ralf Scheepers, l’unico cantante in grado di non sfigurare sui pezzi normalmente affidati al cantante degli Helloween. Il cantante dei Primal Fear ha interpretato alla sua maniera Reach Out For The Light, Shelter From The Rain e specialmente The Wicked Rule The Night, il singolo del nuovo album che è previsto in uscita a ottobre. Tobias è apparso sollevato per potersi finalmente trovare a calcare un palco dopo due anni e mezzo di interruzione forzata e ha sinceramente apprezzato il trattamento riservato dal pubblico di Cartagena. Eric Martin, finalmente, allo stesso livello di forma dei suoi colleghi ha impreziosito Dying For An Angel, ma la cosa più bella è stata vedere Ronnie Atkins dare il meglio di sé in Invoke The Machine e Book Of Shallows. Un discorso a parte merita Jorn Lande che riesce a far sentire il rumore del tuono ogni qual volta apre la sua bocca. Nonostante lo show ridotto di un terzo rispetto al normale, Tobias Sammet è stato l’indiscusso protagonista della prima serata di Cartagena. I maligni dicono che sapeva già che si sarebbe esibito dopo pochi giorni al Bacelona Rock Fest … ma questa è un’altra storia!

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25 GIUGNO 2022

La giornata non inizia nel migliore dei modi, perché mentre stavano iniziando le operazioni di carico del set dei Whitesnake è giunta la notizia della cancellazione dell’attesissimo farewell show di David Coverdale. È inutile sottolineare come tanti dei presenti avessero scelto il Rock Imperium proprio per la presenza del serpente bianco, ma davanti alle notizie ufficiali di una seria malattia (Tommy Aldridge) non c’è spazio per illazioni di alcun tipo. Fatto sta che la giornata inizia in una strana atmosfera e si susseguono voci di ogni tipo in merito al recupero dello slot lasciato libero dai Whitesnake.

Il compito di iniziare la giornata sui due palchi principali spetta ai Celtian e agli Opera Magna, due band locali che hanno sfruttato al massimo la possibilità offerta. Molto legati i primi all’istituzione spagnola che porta il nome di Mago de Oz, più classici e immediati, ma sicuramente più derivativi, i secondi. Ma il vero pubblico inizia a farsi vedere (e sentire) quando Blaze Bayley, l’uomo di Birmingham che impugnò per tre anni il microfono degli Iron Maiden, compare all’interno del palco Estrella Levante. La scaletta è proprio basata sulle canzoni registrate nella parte finale del precedente millennio e si respira un’aria di nostalgia, da parte del cantante, che non sembra pienamente condivisa dai partecipanti. Al di là dell’attitudine dell’artista, va comunque riconosciuta la buona interpretazione di brani come Futureal e specialmente The Clansman, con il ritornello urlato a pieni polmoni anche in segno vicinanza a chi la libertà la sta perdendo.

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La prima, grandissima, sorpresa del festival si chiama 91 Suite, un gruppo che potrebbe essere arrivato a Cartagena direttamente dagli anni ’90 usando lo Stargate, tanta è la somiglianza che li accomuna a gruppi come Dare e Bon Jovi. Se esistono luoghi comuni in merito all’attitudine e al portamento dei gruppi spagnoli dal vivo, il gruppo di Murcia va esattamente nella direzione opposta, esibendosi con una classe sopraffina, perfettamente in linea con lo stile musicale. Forse l’abitudine a esibirsi innanzi a un pubblico così importante ha creato qualche tensione di troppo, ma quello che conta è la validità dei brani, in un perfetto AOR con qualche leggera divagazione nel metal melodico che va tanto di moda al giorno d’oggi. Un nome da tenere in considerazione!

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Evidentemente il grande orso norvegese Jorn Lande si deve essere scaldato a sufficienza durante la serata precedente assieme agli Avantasia, perché fin dal primo momento il cantante norvegese riesce a lasciare a bocca aperta il pubblico spagnolo. I primi brani in scaletta sono tratti dal recentissimo solista Over The Horizon Radar e poco conta che Jorn debba leggere tutti i testi dei brani della sua ultima produzione, perché la sua voce non ha confini. La seconda, grandissima, sorpresa del festival ha un nome e un cognome che pochi conosceranno: Adrian Sunde Bjerketvedt, il nuovo giovanissimo chitarrista di Jorn, uno di quelli che forse non ti colpisce quando lo vedi, ma che quando inizia ad appoggiare le mani sulla chitarra si fa sentire, al punto di risultare un clone sonico di un certo Vivian Campbell per il suo tocco sopraffino. La seconda parte dello show libera il cantante norvegese dagli obblighi promozionali, permettendogli di spaziare tra le sue principali fonti di ispirazione, ovvero David Coverdale e Ronnie James Dio.

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Doro Pesch potrà anche avere dei problemi, ma tra questi non rientrano sicuramente vuoti di memoria anche perché i brani in scaletta, fatta eccezione per tre estratti, provengono tutti dalla discografia ottantiana dei Warlock. L’ambiente è subito delineato, con tante braccia rivolte verso il cielo che si muovono a ritmo con quelle della metal queen. Il sorriso più contagioso, la partecipazione più sincera, l’entusiasmo più schietto … sono tutti dettagli sempre presenti negli show di Doro. Fa invece specie non vedere più Nick Douglas e il nostro Luca Princiotta, a fianco della metal queen da tantissimo tempo e sostituiti per l’occasione da Stefan Herkenhoff (ex Beyond The Black) e Bill Hudson (Northtale). A parte questo cambio di formazione, il resto è andato esattamente come tutti si aspettavano che andasse.

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Gli anni passano per tutti, anche per gli Europe, ma le ovazioni che il pubblico tributa ad ogni latitudine ai brani pubblicati negli anni ottanta (e specialmente nel 1986) continuano a essere sempre pazzesche, al di là della qualità dei nuovi brani pubblicati dagli svedesi e inseriti nelle scalette. Non è quindi un caso che il 70% dei brani presentati ai famelici fan del Rock Imperium siano provenienti dal periodo di maggior successo del gruppo di Upplands Väsby. Sono quelli i brani che i fan vogliono ascoltare per poterli cantare, per poter tornare in quei momenti dorati. Quando le varie Rock The Night, Carrie e Cherokee escono dalle casse, l’impressione è che lo Stargate faccia il viaggio all’incontrario, portando i fan nel passato. Nessuno si esime dal cantare, anche se non conosce i testi alla perfezione. Ci sono anche i brani nuovi .. ma servono per riprendere fiato. Joey Tempest avrà anche stretto un patto con il diavolo, ma i suoi compagni non sono stati così fortunati… ad ogni modo il conteggio finale, quello vero, è ancora lontano nel tempo. Molto lontano, se gli Europe continuano a inanellare concerti di tale qualità.

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La sensazione, nel vedere suonare gli Scorpions, è agrodolce! Lo Stargate continua a trasportare migliaia di fan nel vecchio millennio sulle note di Make It Real, The Zoo e Bad Boys Running Wild, lo spettacolare palco lascia a bocca aperta, i musicisti sono ancora li, spesso con i berrettini ben calati sulla testa … ma non sfugge a nessuno che i passi con cui il piccolo grande uomo di Hannover si muove sull’enorme palco sono sempre meno lunghi e, forse più insicuri. Fortunatamente la voce continua a essere come quella di una volta, nonostante l’età e gli acciacchi. Lo Stargate continua la sua missione con i fan e Klaus osserva compiaciuto l’ennesima vittoria preannunciata, sembra ammiccare con il fratello acquisito Rudolf (suo coetaneo) mentre Matthias Jabs prende il centro del palco durante l’ennesimo assolo. La base ritmica non è un problema, perché Mikkey Dee suona la batteria come se avesse sei braccia e Paweł Mąciwoda è troppo giovane per pensare di essere stanco. La prestazione serve da sola a far capire perché questi signori, dopo più di 50 anni di carriera, sono ancora osannati alla stregua di dei della musica. Il loro orgoglio e la grande voglia di ringraziare per quanto hanno ricevuto nella loro carriera, sono sufficienti per rendere la serata indimenticabile e per far scendere la lacrimuccia quando si pensa che potrebbe essere l’ultima volta di Still Loving You e Rock You Like A Hurricane dal vivo.

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Fatte le dovute proporzioni, la fama di cui godono in Spagna i Saurom non è per nulla inferiore a quella che hanno i gruppi che li hanno preceduti. Il loro folk metal è un’istituzione e lo si capisce dal numero delle persone che assiepano ancora il Parco El Batel. I menestrelli gaditani erano infatti molto attesi e durante il loro set, il carisma di Miguel Ángel Franco non ha faticato più di tanto per prosciugare le poche forze residue del pubblico, dopo un’intensa e calda giornata di ottima musica, confermando la forte commistione tra il gruppo e i fan. La scaletta si è giustamente basata sull’ultimo album Música del 2020 (Salta e El Lazarillo De Tormes), ma non sono mancati gli inni La Leyenda De Gamberinus e Noche De Halloween che hanno ulteriormente consolidato il coinvolgimento del pubblico.

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Rock Imperium 2022: è stato un successo e l’esito non era assolutamente scontato! L’appuntamento è fissato al 23 e 24 giugno 2023 con i Deep Purple come headliner.

Emanuele Biani

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