METALITALIA FESTIVAL – Trezzo sull’Adda (MI), Live Music Club, 17-18 Settembre 2022: il nostro live report!

METALITALIA FESTIVAL – Trezzo sull’Adda (MI), Live Music Club, 17-18 Settembre 2022: il nostro live report!

METALITALIA FESTIVAL – 17.09.2022

di STEFANO CERATI

Come la maggior parte di tutti le kermesse europee, anche il Metalitalia festival è rimasto bloccato per due anni e finalmente si può ripresentare con la line up che era stata presentata in precedenza, quindi una prima giornata orientata alle vecchie glorie del thrash, in buona parte italiane, e una seconda invece dedicata all’estremo, death e black. Il racconto della prima giornata parte dagli italiani In.si.dia, mentre in precedenza avevano suonato i National Suicide e c’era stato il concerto di reunion degli Hyades. Al momento non c’è ancora tantissima gente, siamo alle quattro di pomeriggio, ma il pubblico aumenterà progressivamente fino a raggiungere alla fine il migliaio di presenti.

IN.SI.DIA.

La storica band bresciana che si è riunita otto anni fa è in pieno rilancio, infatti poco dopo il festival uscirà il loro nuovo disco – sempre cantato in italiano, che è una loro caratteristica – che però è già disponibile fisicamente allo stand della Punishiment 18 che lo pubblicherà. Nonostante un lunghissima carriera che dura da più di trent’anni, i nostri sfoggiano sul palco una grinta invidiabile con il cantante Fabio Lorini che si sporge fino al limite del palco più vicino possibile al pubblico per incitarlo. Nonostante il suono non ottimale, si vede che la band ha grinta e tiro grazie anche al nuovo Paolo Pirola alla batteria che assicura un grande impatto sonoro. Nella scaletta sono presenti i vecchi classici della band, da Nulla Cambia che apre l’esibizione, a Parla… Parla, a Il Grido fino a Dentro al Cerchio che amplia il range espressivo dei nostri, per concludersi con un omaggio ai Negazione, prima band che ha sdoganato la musica pesante cantata in italiano, con il loro pezzo più celebre, Tutti Pazzi. Un’esibizione potente e intensa che ha scaldato il pubblico presente.

Extrema

I veteranissimi Extrema, in azione ormai dal lontano 1987, si presentano sul palco per la celebrazione di uno dei loro dischi più famosi, The Positive Pressure (of Injustice), pubblicato nel 1995 e che all’epoca aveva scatenato perfino paragoni con i più blasonati Pantera, anche a causa del cantato spavaldo e aggressivo di GL Perotti. Lo storico frontman non è presente stasera, così come non lo sono gli altri membri storici Chris dalla Pellegrina alla batteria e Mattia Bigi al basso. Unico rappresentante del marchio è oggi l’inossidabile chitarrista Tommy Massara che infatti si prende tutte le luci del proscenio col suo chitarrismo funambolico. La formazione di oggi interpreta quelle canzoni in modo compatto, con più potenza, ma anche meno groove, soprattutto nella sezione ritmica. Viene enfatizzata la rocciosa vena post thrash, fatta di tanti riff piuttosto che l’aspetto più groove. E, spiace dirlo, il nuovo cantante Tiziano Spigno, non ha l’estensione e neanche la potenza per governare come si deve quel tipo di pezzi. Nonostante tutto, il concerto è godibilissimo perché la band si danna l’anima e ce la mette tutta per fare bella figura, supportata da un pubblico che riconosce loro l’importanza della vecchia scuola e la tenacia di essere ancora sul palco dopo tanti anni. Fra i pezzi più riusciti dell’esibizione potrei citare l’iniziale panteriana This Toy o Money Talks grazie alla sua linea melodica immediata che la fa svettare sulle altre composizioni.

Onslaught

Chi ama il quintetto di Bristol – stasera quartetto perché il fondatore Nige Rockett stasera ha dato forfait per i postumi di un infortunio alla spalla di cui non è ancora ripreso – ama il thrash nella sua forma più pura. Ascoltando il loro stile così mordace, grezzo e sincero, con un tupa tupa molto classico e anche un po’ basilare, non si può non pensare allo stile della Bay Area, e a quello dei primi Metallica in particolare, di cui i nostri sembrano la versione più proletaria e meno fortunata. In realtà chi ama lo spirito selvaggio e sanguigno del primo thrash non può non esultare di fronte a bordate come quelle di Let There Be Death, Strike Fast Strike Hard, Destroyer Of Worlds, A Perfect Day To Die, piccoli grandi classici della loro discografia, eseguiti con tanta energia primordiale, proprio come i titoli suggeriscono. A rimarcare la loro natura rustica e verace e l’attaccamento alle radici del metal inglese meno compromissorio e più underground, dedicano una canzone alla leggenda Lemmy (e non sarà l’unico tributo stasera).

Bulldozer

I milanesi sono un’istituzione del thrash, non solo in Italia, ma anche in Europa. I loro primi album, pubblicati dalla Roadrunner, hanno dato loro una vetrina nel vecchio continente che avrebbe potuto portarli ad un successo maggiore negli anni Ottanta, se non avessero dovuto affrontare diverse vicissitudini. E questa sera, senza le tastiere  generalmente suonate dal figlio di AC Wild, si ripropongono proprio in quella forma grezza, tipica del metal della prima metà degli anni Ottanta, dove il loro stile cattivo e arcigno, era forgiato sull’evoluzione in senso estremo dei Motorhead, dei Venom, anche dei primi Tank. Infatti era stato proprio Algy Ward a produrre il loro seminale esordio The Day of Wrath del 1985, da cui stasera suoneranno diversi estratti, assieme a quelli del secondo disco The Final Separation. AC Wild, a voce e basso (proprio come Lemmy e Cronos) è sempre l’oscuro cerimoniere con suo mantello nero, l’aura malefica e la voce catramosa, mentre Andy Panigada affronta le canzoni proprio come un bulldozer, con una foga belluina, pronta a devastare ogni cosa sul proprio cammino. È davvero un concerto della vecchia scuola con suoni più speed metal che thrash, anche se sarà questo il genere che i nostri contribuiranno a diffondere in quei primi pionieristici anni Ottanta italici. La grinta che la band ci mette è encomiabile e il set non fa prigionieri, con pezzi come Fallen Angel, primo singolo in assoluto dei milanesi, The Great Deceiver, Welcome Death e la cover di Iron Fist dei Motörhead. Il suono è grezzo, potentissimo e veloce e dà la carica e, per chi vi scrive, è stata una delle migliori esibizioni di giornata.

Coroner

I Coroner sono un mondo a parte. È vero che suonano thrash ma lo fanno in modo così personale, fantasioso e tecnico, che sembrano una versione cupa ed estrema dei King Crimson, da mettere in una campana di vetro e preservata per i posteri. È incredibile che una band così non abbia avuto un successo di massa ed è ancora più incredibile che, suonando così poco, dal vivo abbiano un’interazione perfetta sul palco. Non sbagliano uno stacco, la loro musica è fluida, cristallina, perfino troppo perfetta in un mix ribollente di diversi umori: dai lunghi riff alla Rush, agli umori psichedelici, fino alle parti più scabrose e sperimentali dove in effetti si intuisce l’influenza derivante dai connazionali Celtic Frost. Tuttavia la band svizzera guidata da Ron Royce e Tommy Baron è andata oltre, superando il thrash, fondendolo con altri generi musicali per costituire una proposta unica, elegante, ma che comunque rimane risolutamente metal, un metal evoluto e avvincente, come forse solo i Voivod sanno proporre. È riduttivo citare anche pezzi singoli perché ogni loro concerto va assaporato nella sua interezza, anche se pezzi come Serpent Moves e Reborn Through Hate si stagliano sulle altre composizioni. Senza dubbio alcuno i vincitori della serata, per quanto mi riguarda.

Sodom

Quanto sono raffinati i Coroner, tanto sono grezzi i Sodom. La loro proposta, da sempre guerresca a proletaria, è avanzata dall’underground grazie a una dedizione totale al thrash ed all’ispessimento dei dettami rock’n’roll dei Motörhead, di cui sono la versione più grezza e più marcia (e ce ne vuole per essere più grezzi dei Motörhead). I Sodom hanno una lunga storia con il nostro paese e si sono esibiti in passato a molti festival, con Tom Angelripper rimasto l’unico inossidabile e immarcescibile unico membro presente. Del resto anche lui, come Lemmy, canta e suona il basso, è l’unico titolare rimasto del marchio e può smontare e rimontare la formazione come vuole. Stasera i Sodom celebrano i quarant’anni di carriera (è uscito anche un album per la SPV che celebra questo importante traguardo) e sono pronti a riversare il loro carico di marciume su un pubblico adorante. Infatti all’ora della loro esibizione non si trova più nessuno in giro, né ai bar all’aperto, né agli stand esterni perché sono tutti dentro a osannare un vecchio eroe del thrash. Il concerto propone un volume pazzesco, altamente gradito, e delle schegge di violenza sonora primordiale ben sorrette da un’attitudine quasi punk e una voce tanto sgraziata quanto particolare. Tom l’anno prossimo compierà sessant’anni, come ricorda tutto sudato a torso nudo, ma non ha perso l’entusiasmo del ragazzino che c’è in lui. Infatti si diverte ancora a proporre numeri ignoranti e devastanti come Sodom & Gomorrah che fa partire il pogo e il delirio fra il pubblico. È solo l’inizio di una scaletta di diciannove pezzi, dinamitardi e letali come la mitica Agent Orange. Fra i tanti brani eseguiti vale rimarcare Tired And Red, il classico Christ Passion, Surfin’ Bird, l’accoppiata Caligula con Nuclear Winter per arrivare al finale pirotecnico con i pezzi che tutti si aspettano come Remember The Fallen, Ausgebombt e Bombenhagel. Si chiude in un’orgia di suoni, un tripudio di violenza ma anche di goliardia e divertimento dove musicisti e pubblico sono accomunati dal sudore che riempie tutta la sala. Va detto che Tom era stato disponibilissimo con i fan nel pomeriggio, con un meet & greet dove non ha lesinato foto ricordo e tanti saluti. Un vero eroe del popolo.

METALITALIA FESTIVAL – 18/09/2022

di MATTEO DI LEO

E anche per il Metalitalia Festival venne il giorno del ritorno post pandemia. Per il secondo giorno delle kermesse, il menu prevede portate “pesanti”, basate sul metal estremo, con tanto di inglobamento di fatto del Chariots Of Fire Tour (che vede Watain e Abbath spartirsi il ruolo di headliner). La giornata è calda, ultimi scampoli della bella stagione – a proposito, la scelta di piazzare il festival alla fine della tornata dei grandi eventi estivi sembra sempre più azzeccata –  e le temperature sono pronte a diventare incandescenti sia dentro che fuori il Live Music Club.

Il gong di apertura viene suonato dai brianzoli Blasphemer che a suon di death metal danno il benvenuto agli astanti, presentandoci essenzialmente l’ultimo album The Sixth Hour.

Falsa partenza invece per gli svizzeri Bølzer (causa inconveniente tecnico), ma il duo non si fa scoraggiare e anzi, rilancia con il suo black/death basato sull’unico full-length finora prodotto (Hero del 2016) in mezzo a diversi EP che ne hanno comunque consolidato la fama a livello internazionale.

Con i Necrophobic si fa decisamente sul serio e sulle assi del Live Music Club si affaccia un pezzetto di storia dell’estremismo svedese. La band offre una prestazione impeccabile, professionale sotto ogni punto di vista e di grande qualità, ma d’altronde date queste premesse e la possibilità di pescare da lavori come Dawn Of The Damned e Mark Of The Necrogram, sarebbe difficile accadesse il contrario.

Ed eccoci a uno degli highlights annunciati: i Tribulation. Ormai orfano del fenomenale chitarrista Jonathan Hultén, il quartetto è chiamato a dare garanzia sulla tenuta e a rassicurare su un futuro che sembrava dalla tinte sempre più rosee. Almeno per quanto riguarda l’esecuzione dal vivo, i fan possono stare tranquilli: i Tribulation sono ancora a loro agio tra atmosfere gotiche e brumose e di fatto non sbagliano un colpo, anche se il nuovo corso (che flirta sempre più spesso con il rock gotico) pare poco adatto al growl cavernoso di Johannes Andersson.

Una bara, candelabri, iconografie sacre, nove individui incappucciati di cui alcuni “cantano” con le mani in tasca o leggendo testi sacri: signore e signori, i Batushka di Krzysztof Drabikowski. Per quanto lo show cominci a diventare un po’ telefonato c’è poco da fare, il fascino rimane e chi non ha mai assistito a un loro spettacolo rimane incantato. Pescando da Litourgiya e Панихида, i polacchi lasciano soddisfatte tanto le orecchie quanto gli occhi di un pubblico che può dirsi conquistato.

Sugli Asphyx si può sempre contare e ci tengono a ribadirlo anche oggi. La prova degli olandesi è priva di macchie (non pochi li eleggeranno “vincitori morali” a fine giornata) e nonostante sia basata fortemente sull’ultimo Necroceros, non risparmia la storia dei nostri con le conclusive The Rack e Last One On Earth.

Chissà in che condizioni si presenterà Abbath: la domanda serpeggia tra la folla, la curiosità è mista a timore, ma niente paura, l’ex Immortal sfoggia buona forma fisica e soprattutto professionalità, riappropriandosi anche del suo passato nelle forme di In My Kingdom Cold, Beyond The North Waves e Withstand The Fall Time.

Per finire, spazio ai Watain. Ormai nome grosso della scena black globale, gli svedesi passano a fil di lama il pubblico con uno spettacolo rodato, tecnicamente perfetto e che oggi rappresenta uno degli show imperdibili in ambito estremo, degna conclusione di questa edizione del Metalitalia Festival.

Emanuele Biani

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