METAL VALLEY OPEN AIR 2022 – 06/08/2022 @ Villa Serra, Comago (GE): il nostro live report

METAL VALLEY OPEN AIR 2022 – 06/08/2022 @ Villa Serra, Comago (GE): il nostro live report

METAL VALLEY OPEN AIR 2022 
VOIVOD+FORGOTTEN TOMB+ELDRITCH+GAME OVER+BLUE DAWN+EXPIATORIA
06/08/2022 @ Villa Serra, Comago (GE)

Se lo scorso 6 agosto gli alieni fossero atterrati su Comago, alle porte di Genova, non avrebbero trovato un clima molto diverso dall’Area 51 nel deserto del Nevada: un caldo torrido ma per fortuna non troppo umido, reso decisamente più sopportabile dalle ampie zone d’ombra che lo splendido parco di Villa Serra offre in ogni suo angolo.

E la scelta della location rappresenta sicuramente uno dei fiori all’occhiello per l’organizzazione del Metal Valley Open Air 2022, così come la presenza di stand gastronomici di altissima qualità e l’ampia proposta in tema di merchandising.

Tutte caratteristiche capaci di creare quell’atmosfera da festival che tanto era mancata negli ultimi anni, nonostante l’affluenza del pubblico (tra le 400 e le 500 unità) risenta fisiologicamente del periodo vacanziero, oltre che della contemporaneità (e gratuità) del Metal For Emergency in provincia di Bergamo.

Ma si diceva degli alieni… bene, sono atterrati, hanno devastato tutto, ricostruito a modo loro e sono ripartiti tra gli applausi. Forse ne avete sentito parlare, sono in giro da una quarantina d’anni e si chiamano Voivod. Ma andiamo con ordine.

voivod1

Impegni inderogabili ci impediscono raggiungere Villa Serra prima della serata, quindi perdiamo la performance heavy/gothic metal degli Expiatoria e quella doom rock dei Blue Dawn, entrambi gruppi formati da musicisti molto preparati e con una lunga esperienza alle spalle. A giudicare dai commenti degli spettatori presenti fin dal primo pomeriggio, il potenziale di entrambe le band è stato espresso in pieno ed ha scaldato ulteriormente un pubblico già messo a dura prova dalla canicola odierna.

A non accusare per niente il caldo sembrano gli eroici Game Over, autori di uno show movimentato e di buon livello, nonostante la defezione (temporanea?) del batterista e dei suoni francamente ancora troppo piatti per l’energico thrash metal del gruppo. Ciò che conta è comunque l’impegno e la voglia di divertirsi, qualità che non hanno mai difettato al quartetto di Ferrara, né tanto meno al pubblico che comincia a crescere numericamente.

Temperatura torrida a parte, questa è la prova del fuoco per Marco Biagioli, il nuovo cantante con cui gli Eldritch si prendono l’impegno di sopperire al non trascurabile abbandono dello storico Terence Holler. Il gruppo toscano deve inoltre rinunciare all’apporto del geniale tastierista Oleg Smirnoff, recentemente infortunatosi ad una spalla, e quindi opta per una setlist prevalentemente d’impatto.

Rispetto allo show dei Game Over, l’impianto audio sembra fare decisamente meglio il suo dovere, ma nonostante il frontman si danni l’anima e canti da par suo per attirare l’attenzione del pubblico, salta all’occhio una certa staticità degli altri musicisti. Come sempre, la prestazione strumentale è tecnicamente ineccepibile, tuttavia pare chiaro che il recente terremoto in formazione necessiti di ulteriore rodaggio per stabilizzarsi.

Chi non ha assolutamente bisogno d’intrattenere gli astanti per risultare coinvolgente è un gruppo come i Forgotten Tomb. I veterani – se non proprio i teorizzatori – del depressive black metal restano fedeli alla propria identità misantropa e malinconica e riducono l’interazione col pubblico al minimo sindacale, ma è sufficiente il riff di Active Shooter – anche dal vivo la figlia bastarda di Buried Dreams dei Carcass – per farci scorrere un piacevole brivido autunnale sulla schiena.

La band piacentina approfitta dell’oscurità incombente e non sciupa un solo minuto dell’oretta scarsa a sua disposizione, con le urla lancinanti di Ferdinando Marchisio che squarciano una coesione ritmica e armonica di assoluta precisione, raggiungendo l’apice della performance con un medley finale dedicato ai primi anni del progetto.

E quindi torniamo a parlare degli alieni, ma forse ci perdonerete se ritrattiamo le parole all’inizio dell’articolo. Sì, perché i Voivod non appartengono al banale stereotipo degli omini verdi a bordo di astronavi ipersoniche che sparano devastanti raggi laser. Nel corso della loro carriera quarantennale, infatti, i canadesi hanno preso sempre più le sembianze sfuggenti degli ultracorpi: organismi di origine aliena ma invisibili all’occhio umano, in grado di possedere e assimilare qualunque forma di vita con cui vengano in contatto.

Così, quando a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta cominciava ad imporsi la moda di mescolare le sonorità e l’estetica heavy metal con influenze provenienti da altri generi, i Voivod operavano in maniera totalmente opposta. Cioè contaminando con il virus mutante dell’heavy metal tutti gli stili di loro interesse e competenza – progressive, psichedelia, punk, new wave, musica classica e tanti altri – fino a renderli quasi indistinguibili dal gene(re) originale.

Ecco perché anche stasera, al netto di una setlist magnificamente incentrata sul repertorio degli album compresi tra Killing Technology (1987) e The Outer Limits (1993), a spiccare è soprattutto la storica cover di Astronomy Domine dei Pink Floyd, che eventuali (ed improbabili) neofiti di entrambe le band avrebbero potuto tranquillamente scambiare per una composizione dei Voivod. Per il resto, il gruppo inaugura oggi il suo nuovo tour europeo e, per usare un termine strettamente tecnico, è carico a pallettoni.

Il bassista Rocky è un tornado di note, capace di tenere in piedi da solo una versione di The Unknown Knows che alcuni problemi tecnici rendono quasi del tutto priva di chitarra. Il chitarrista Chewy, da parte sua, è lestissimo a tornare in sella e sciorina un’ora e mezza di riff tecnici, fraseggi acidi, assoli stranianti e infiniti cambi di registro, dimostrandosi il miglior erede possibile del compianto Piggy. Se ne rende conto anche quella vecchia volpe di Snake, da sempre un frontman atipico e all’apparenza dipendente da dosi industriali di sarcasmo, con cui non manca di arricchire una performance comunque impeccabile ed altamente comunicativa.

E poi c’è Away. Quando si crede di aver terminato gli aggettivi per un artista ed un intellettuale autenticamente a tuttotondo come Michel Langevin, questo si presenta sul palco – ma anche in mezzo al pubblico, durante i concerti precedenti – e si limita a fare quello che gli riesce meglio: spaccare davvero tutto.

Con la sua maglietta dei Van Der Graaf Generator, il sorriso spensierato di un bambino a Natale, uno sguardo che sembra perdersi nei più remoti quasar dello spazio e una batteria poco più grande di quella di Ringo Starr, l’eterno ragazzo di Montreal trova sempre il modo di picchiare come un dannato in una sterminata marea di tempi dispari, fill e cambi di ritmo, mangiando in testa al 90% dei suoi colleghi per perizia tecnica, groove e intensità.

Se mai ce ne fosse stato bisogno, questo eccellente festival ha ribadito la veridicità di un assioma che rientra tra le pietre angolari dell’heavy metal tutto.

Comprendere i Voivod è difficile, non amarli è impossibile.

Emanuele Biani

Lascia un commento