MARDUK – il live report della data allo Slaughter Club

MARDUK – il live report della data allo Slaughter Club

Dopo diversi rinvii, è finalmente partito il tour celebrativo dei trent’anni di carriera dei Marduk.
Allo Slaughter Club di Paderno Dugnano (MI) si è svolta venerdì 12 novembre la prima delle tre tappe del giro che la band svedese farà per lo stivale, toccando anche Roma e San Donà di Piave (VE) prima di lasciare il territorio nazionale.

La venue inizia a riempirsi già verso le ore 20.00, quando si sta concludendo il concerto di apertura dei bresciani Fiume Nero.
La traccia di chiusura, “Mors Liberat”, lascia gli astanti ben carichi per proseguire adeguatamente la serata.

Salgono quindi sul palco, alle 20.30, gli olandesi Doodswens, i quali hanno portato dal vivo i brani tratti da “Lichtvrees”, in uscita il dicembre prossimo.
I due chitarristi, accompagnati da un batterista session, hanno saputo accattivarsi l’attenzione dei presenti, che nel frattempo crescevano di numero e si avvicinavano al palcoscenico, producendosi in una prestazione convincente, trenta minuti intensi e di qualità.
La band, di recente formazione, saprà sicuramente emergere in futuro.

Alle 21.15 giunge quindi l’ora dei Valkyrja, attesissimi connazionali degli headliner e acclamatissimi dal pubblico che, nel frattempo, e finalmente, inizia a raggiungere una consistenza numerica importante.
L’attacco è, come d’uopo, furibondo: dopo una breve intro si scatenano “Crowned Serpent” e “Opposer of Light”: gli spettatori aggrappati alla transenna si slogano i colli in sfrenati headbanging mentre nelle file appena dietro si sviluppa un discreto moshpit, ottimo segnale di vitalità dopo due anni di nulla.

La prova dei Valkyrja è davvero ottima, d’altro canto calcano i palchi da oltre quindici anni e si nota la consapevolezza di poter vantare un’offerta musicale di qualità, fatta di riff coinvolgenti, atmosfere oscure e ritmiche furiose alternate sapientemente da mid-tempo dal sapore maligno.
Notevole la chiusura con “Oceans to Dust” (un treno in corsa coi freni rotti) e “Throne Ablaze”, i cui assoli finali costituiscono l’epilogo perfetto di una prestazione di alto livello.

L’arrivo dei Marduk, previsto per le 22.45, è anticipato da una buona ventina di minuti di campionamenti di suoni tipicamente bellici, raid aerei, esplosioni, colpi d’arma da fuoco, aerei che si schiantano, insomma, spazio per l’immaginazione ce n’è ben poco, i Marduk non faranno prigionieri.

Mortuus entra per ultimo, dopo che Morgan, Simon e Lindholm si sono sistemati sul palco, pronti per dare inizio a una vera e propria rievocazione storica.
Un concerto con cui verranno toccati ben nove album pubblicati dalla band di Norrköping, tra cui “Heaven Shall Burn… When We Are Gathered”, “Those Of The Unlight” e l’immarcescibile “Panzer Division Marduk”.

Giova segnalare, prima di tutto, come il grande protagonista di questo concerto dei Marduk, così come dei predecedenti, sia stato il volume terrificante dell’impianto audio.
Per non provare dolore ai timpani c’erano solo due strade: o mettersi dei tappi, ancorché di fortuna magari appallottolando dei fazzoletti di carta, o andare sul fondo del locale, ormai quasi completamente pieno.
Diversamente, stare nei pressi del palco era un’esperienza mistica, a metà tra il martirio e l’estasi.

Potete quindi facilmente immaginare in che sorta di girone infernale si sia trasformato lo Slaughter Club sotto i colpi di veri e propri ordigni come l’opener “Werwolf”, “Frontschwein” o “World Funeral”, fortunatamente intervallati da momenti di “stacco” come durante “Bleached Bones” e “Materialized In Stone”.
Altro protagonista assoluto della serata è stato il trascendente: potete facilmente immaginare quali epiteti abbiano interessato la divinità, epiteti di cui anche Mortuus, a quanto pare, è a conoscenza, avendoli espressi più volte nel microfono, nell’euforia generale.

Chiusura perfetta con due brani a dir poco fondamentali: “Christraping Black Metal” e “Panzer Division Marduk”: ogni ulteriore commento è superfluo.

Dopo trent’anni di carriera i Marduk, anche dopo qualche rivoluzione non indifferente, sono ancora in grado di spiegare cosa significhi fare musica estrema, senza fronzoli e con immutata attitudine.

Mortuus era visibilmente in forma, Morgan è una certezza e i due musicisti aggiunti sono assolutamente all’altezza, soprattutto il batterista Simon, potente e preciso.

Non v’è dubbio che proseguiranno ancora a lungo in questo modo.

Emanuele Biani

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