JACK BROADBENT – la nuova intervista di Rock Hard; non perdete l’artista dal vivo il 7 Aprile al Legend Club di Milano

JACK BROADBENT – la nuova intervista di Rock Hard; non perdete l’artista dal vivo il 7 Aprile al Legend Club di Milano

Cantante, chitarrista, bluesman, songwriter, busker e molto di più. In attesa del concerto del 7 Aprile al Legend Club di Milano, incontriamo Jack Broadbent, forse l’esponente più in vista della sua generazione nel macrogenere conosciuto come Americana.

Il tuo ultimo disco Ride è uscito da quasi un anno ed è già tempo di bilanci. In che modo il tuo punto di vista creativo è cambiato in quasi un decennio?

“Il mio processo creativo non è davvero cambiato, in quanto ho lasciato che le canzoni venissero da me invece di forzare qualcosa. Tuttavia, mi piace pensare che la mia tavolozza espressiva si sia evoluta e maturata nel corso degli anni. Sento che questo album è il miglior lavoro che abbia mai realizzato”.

I musicisti si esercitano con la loro strumentazione, lavorandoci e migliorando. Come migliora un cantautore? Funziona nello stesso modo?

“Per me, scrivere canzoni attingendo da tanti stili diversi significa non aver paura di lanciare una vasta rete. Si tratta sicuramente un grande vantaggio per migliorare la propria scrittura, perché alla fine puoi sfruttare un paesaggio senza confini su cui lavorare”.

Esistono zone del tuo io creativo che il mondo deve ancora ascoltare? Hai messo da parte delle canzoni che devono ancora trovare la loro strada per qualche motivo?

“Ho molti pezzi di brani incompiuti, ma di solito cerco di guardare avanti, invece di fare affidamento su idee passate. Se una canzone continua a tornarmi in mente, allora so che lì c’è qualcosa su cui vale la pena insistere, ma preferisco iniziare da un punto di partenza spontaneo e provare a lavorarci fino al suo naturale completamento. Per me, quelle canzoni sono solitamente le più coerenti e vere”.

jack broadbent

Che cosa imparerebbe il pubblico su di te, sedendosi ad ascoltare Ride o venendo a vederti suonare dal vivo?

“Penso che le persone trarranno le loro conclusioni spontaneamente, identificandosi o meno in ciò che vogliono. C’è molta vita in questo disco e ancora di più nei miei concerti. Ci metto davvero tutto me stesso dentro”.

Tuo padre suona il basso nel disco. Da quanto si può capire, è stato un fattore importante nel cementare il tuo amore per la musica. 

“Mio padre Micky ed io suoniamo musica insieme da quando ho iniziato a scrivere canzoni nella mia prima adolescenza. Stiamo facendo questo viaggio insieme, la cui destinazione va molto oltre un semplice ritorno al punto di partenza. Il nostro rapporto è cresciuto dall’interno verso l’esterno e continua a espandersi”.

Se oggi potessi incontrare Jack Broadbent adolescente, secondo te che cosa penserebbe della tua carriera?

“Penso che la apprezzerebbe molto! In tutta la mia vita, ho lavorato duro esclusivamente per fare musica sempre migliore. Penso che l’ultimo album e, di conseguenza, i miei concerti più recenti contengano dosi molto generose delle mie influenze primarie”.

L’artwork di Ride, il tuo look e anche l’allestimento dei concerti hanno un deciso sapore retrò. Perché?

“Volevo ricreare una sensazione senza tempo per quella che percepisco come un’opera d’arte e per il modo in cui la propongo dal vivo. Nello stesso modo, volevo una produzione e un suono semplici quando mi avvicinavo alle registrazioni. Usando un approccio più organico riesco a mantenere le cose naturale, e alla fine le idee, i temi e l’arte vengono fuori meglio. Immagine e musica vanno mano nella mano”.

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In un mondo che non dà più molta importanza ai generi, ti senti come in grado di esprimere ciò che vuoi essere musicalmente?

“Assolutamente, mi sento molto libero di creare. Molto dipende anche dalla natura sempre più eclettica dei gusti dei fan, non dal modo in cui l’industria è cambiata in termini di come produce o presenta gli artisti”.

Qual è stato il momento clou della tua carriera finora?

“Andare in tour con artisti come Little Feat, Ronnie Wood e Lynyrd Skynyrd. E avere mio padre che suonava lì con me”.

Emanuele Biani

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