BLOODSTOCK OPEN AIR 11-14 agosto 2022 Catton Park (UK) – il nostro live report!

BLOODSTOCK OPEN AIR  11-14 agosto 2022 Catton Park (UK) – il nostro live report!

BLOODSTOCK OPEN AIR

11 – 14 agosto 2022
Catton Park (Walton on Trent, Derbyshire – Inghilterra)

Parole di Igor Belotti
Foto di Katja Ogrin, Steve Dempsey, Leigh van der Byl, Matt Negus

Il Bloodstock Open Air (abbreviato in B-O-A), è il festival metal indipendente più grande del Regno Unito. Si tiene dai primi anni duemila, anni in cui il metal, soprattutto nelle sue forme più classiche, era di gran lunga passato di moda in un paese che ha dato tanto, tantissimo, al mondo del metallo pesante. Superata la ventesima edizione, Bloodstock è ormai una realtà affermatissima nel panorama metal inglese. Frequentato da circa 20.000 fan ogni anno, il festival si è ormai espanso a quattro giornate e quattro palchi, il tutto condito con una buona varietà di stand per cibo e birra (soliti prezzi piuttosto alti per il primo, mentre decisamente più ragionevoli per la seconda), punti vendita per merchandise e metal market vari, tenda per il meet&greet, area VIP con tanto di “Lemmy’s Bar” e addirittura attrazioni da parco giochi. Il festival negli anni ha generato uno zoccolo duro di fan che presenzia indipendentemente dalle band che suonano al festival, che apprezza il festival innanzitutto per l’atmosfera e per la location, in quel di Walton on Trent, nella campagna inglese del Derbyshire. Dopo lo stop obbligatorio a causa della pandemia, il festival è ripartito lo scorso anno con qualche compromesso e limitazione, tra cui una line-up con band soprattutto britanniche. Ormai queste complicazioni sembrano essere per larga parte superate e la voglia di ripartire a piena forza è forte sia che per il pubblico che per gli organizzatori. Quello che segue è il resoconto della nostra prima esperienza al festival inglese.

bloodstock

La prima band che ci capita di ammirare dal vivo in questa edizione 2022 di Bloodstock è il misterioso “surprise act”, che poi tanto misterioso non è, in quanto alcuni sospettano essere i MACHINE HEAD, per via del fatto che il loro merchandise è esposto nel punto vendita ufficiale. Il tendone che ospita il Sophie Lancaster stage è già gremito, sintomo del fatto che la voce si è sparsa al riguardo del prestigioso ospite a sorpresa della giornata. Quando Robb Flynn e soci salgono sul palco con un semplice backdrop “Machine Fuckin’ Head” sullo sfondo, si presagisce uno show scarno, diretto e senza fronzoli. Scarna è anche la line-up, visto che la band si esibisce in versione ridotta a trio, forse per la prima volta nella storia della band statunitense. Robb Flynn spiegherà poi che il loro attuale chitarrista Vogg non ha potuto raggiungerli per via di impegni già presi precedentemente con la sua band, i Decapitated, in un altro festival. Il pezzo d’apertura, la nuova Becøme The Firestørm eseguita per la prima volta dal vivo, è una dichiarazione d’intenti con il suo blast beat in apertura. La svolta tutt’altro che convincente di Catharsis del 2018, che ha contribuito alla rottura con due membri importanti come Dave McClain e Phil Demmel, sembra esser stata lasciata decisamente alle spalle. Degna di nota la prova del nuovo batterista Matt Alston, che si trova a confrontarsi con illustri predecessori come Dave McClain e Chris Kontos. Sorpresa nella sorpresa, proprio quest’ultimo è presente ai lati del palco a osservare i suoi ex compagni in azione. In vacanza con la moglie in Inghilterra, Kontos sarà una presenza costante per tutto il festival, intento ad ammirare ai lati del palco le sue band preferite come Mercyful Fate e Behemoth, oppure chiacchierare con i fan nell’area VIP, con un entusiasmo davvero contagioso, nonostante una lunga militanza nell’underground metal e hardcore americano. Kontos, tuttavia, non si unirà alla band in questa occasione, e stupisce anche l’assenza di brani del classico esordio Burn My Eyes dalla scaletta. I Machine Head hanno deciso di celebrare il ritorno a esibirsi live dopo la pandemia proprio con questo concerto speciale a Bloodstock e non hanno certo intenzione di fare prigionieri. Un’occasione, dunque, davvero speciale e nella setlist trova posto anche The Dagger dal progetto Roadrunner United, finora mai eseguita dal vivo come Machine Head. Chiudono l‘ora di esibizione della band americana la nuova tritaossa Chøke Øn The Ashes Øf Yøur Hate e l’ormai classica Halo da The Blackening per quello che sarà un concerto da ricordare.

machine head live

Seguono direttamente ai Machine Head sullo stesso palco, il Sophie Lancaster stage, i DISCHARGE, leggende assolute del punk hardcore britannico. Il nuovo cantante Jeff “JJ” Janiak è ormai nella formazione da anni come sostituto dello storico Kelvin ‘Cal’ Morris ed è ormai accettato da tutti come il nuovo cantante della band che gode di considerazione altissima da parte di chiunque, non ultimi i Metallica, che hanno registrato ben due cover dei Discharge. Senza voler sminuire l’ammirazione e lo status leggendario della band, i nostri sono a tratti caotici e non troppo compatti nelle loro esibizioni live. In quel di Bloodstock poi la band di Stoke-on-Trent non ha dalla loro parte nemmeno un buon suono. Forse semplicemente i festival, a differenza dei club, non sono il contesto ideale per questo tipo di band, dove l’intensità e il coinvolgimento sono più importante della precisione nell’esecuzione. La set-list ruota per la maggior parte attorno al classico Hear Nothing See Nothing Hear Nothing del 1982, ma non mancano anche brani dall’omonimo Discharge del 2002 o dall’ultimo End of Days del 2016. Da notare la presenza di Chris Kontos impegnato nell’air drumming ai lati del palco con suoi compari Robb Flynn e Paul Stone (Juratory, ex Anti-System, Keyside Strike, Lowlife UK e Nailbomb UK). Quest’ultimo poi si unirà a JJ per cantare State Violent/State Control con la band. Dopo due esecuzioni sul Sophie Lancaster stage, è il momento di godersi una band sul palco principale. Vale la pena inoltre menzionare il fatto che il secondo palco del festival è stato dedicato alla memoria di Sophie Lancaster, una giovane ragazza inglese vittima di un’aggressione mentre era col suo ragazzo da parte di una gang per la sola colpa di essere dei “goth”, e successivamente deceduta conseguentemente alle ferite riportate durante dell’aggressione (fatto di cronaca nera avvenuto nel 2007 nel  Lancashire nord dell’Inghilterra).

discharge live

Quando gli EXODUS salgono sul palco principale del festival il sole è ormai in una posizione accecante per chi si trova sul palco, ma dotati di occhiali da sole, i nostri non si fanno intimidire e si lanciano nell’esecuzione di The Beatings Will Continue (Until Morale Improves) dal nuovo album Persona Non Grata. La band appare immediatamente in forma e Brandon Ellis, che sostituisce Lee Altus per questo tour, si dimostra talmente ben integrato nella band da non sembrare nemmeno un sostituito temporaneo, nonostante la differenza di età con il resto della band. L’attenzione è tutta per Tom Hunting, batterista leggendario al quale è stato asportato l’intero stomaco in seguito alla diagnosi di un cancro lo scorso anno. Nonostante la distanza, impossibile non notare l’enorme cicatrice lasciata da un intervento così invasivo quando Hunting si erge sulle gran casse della sua batteria nella sua classica posa e si percuote il petto nudo come un gorilla. Dimagrito e con i capelli a mezzo collo, che stanno ricrescendo dopo il ciclo di chemioterapia, è ancora un batterista formidabile nonostante tutto. La paura che non fosse in grado di suonare la batteria agli stessi livelli era forte ma per fortuna la performance di questo pomeriggio dimostrerà il contrario. Il mega classico Bonded by Blood del 1985 e il nuovo Persona Non Grata sono ovviamente le colonne portanti della scaletta di questa sera, ma la discografia recente è ben rappresentata con un brano tratto rispettivamente da Tempo of the Damned del 2004, Shovel Headed Kill Machine del 2005 e Blood in Blood Out del 2016. Steve “Zetro” Souza intrattiene la folla tra un pezzo e l’altro con il suo savoir-faire e Gary Holt macina riff assassini e assoli taglienti, ma purtroppo si arriva velocemente alla chiusura con i classici Toxic Waltz e la sempre efficace Strike of the Beast, highlight di ogni show degli Exodus.

exodus live

Purtroppo, le sovrapposizioni sono la croce di ogni festival e come sempre tocca fare delle scelte sofferte (che andranno a scapito delle esibizioni di Doyle, Gwar, Samael e dei thrasher Heathen). Ciononostante, vale la pena concedersi quanto possibile all’esibizione degli EYEHATEGOD sul Sophie Lancaster stage e il loro sludge paludoso con qualche slancio hardcore, da sempre incentrato sulla chitarra di Jimmy Bower e la voce sempre più psicotica di Mike Williams. Non avendo avuto occasione di ammirare la band in azione in azione ormai da alcuni anni, sarebbe stato bello poter presenziare alla loro esibizione più a lungo, ma la chiamata sul palco principale è impossibile da ignorare.

eyehategod live

I TESTAMENT stanno per prendere la scena ed è la prima volta che li si può ammirare con il rientrante Dave Lombardo alla batteria. Non è un caso che quest’ultimo salga per primo sul palco, visto l’altissimo profilo del musicista, manifestando la propria presenza salutando il pubblico dal trono della sua batteria. L’apertura spetta a sorpresa a Rise Up tratto da Dark Roots of the Earth (2012) e Lombardo è evidentemente il meglio del meglio che la band potesse sperare. Diciamolo chiaramente, sostituire un gigante come Gene Hoglan era un compito praticamente impossibile, ma i Testament hanno davvero tirato fuori il proverbiale asso dalla manica. Per quanto Gene Hoglan sia un mostro di tecnica, lo stile di Lombardo è ancora più calzante per la musica dei Testament. Infatti, la combinazione è praticamente perfetta. La formazione, inutile sottolinearlo, è completata da fuoriclasse come Alex Skolnik e Steve DiGiorgio, ed è davvero stellare. Chuck Billy ha compiuto recentemente sessant’anni e ha completamente abbandonato l’headbanging furioso che lo contraddistingueva negli anni novanta e primi anni duemila, ma rimane comunque un frontman in grado di coinvolgere il pubblico. Come in ogni esibizione, specialmente quelle dei festival, il tempo è tiranno, e ciò comporta fare delle scelte in termini di scaletta. Il classico The Legacy è ben rappresentato (Over the Wall, First Strike is Deadly, Alone in the Dark), cosi come l’ultimo Titans of Creation (Children of the Next Level, Night of the Witch, WWWIII). Non vengono ignorati nemmeno ignorati The New Order del 1988 e Practice What You Preach dell’anno successivo mentre gli album “post-reunion” (dal 2008 in poi) vengono rappresentati da un brano ciascuno. Immancabile, per quanto riguarda chi scrive, DNR dall’album The Gathering del 1999, in cui i nostri collaborano proprio con Dave Lombardo per la prima volta. I Testament non deludono e ci conseguano una versione coi fiocchi di questo classico, eseguita dal vivo in passato da tanti batteristi eccellenti, e oggi finalmente dall’originale.

testament live

Impressionante la scalata al successo degli ultimi anni dei polacchi BEHEMOTH, arrivati addirittura al ruolo di headliner in festival come Bloodstock dopo anni in cui loro profilo è cresciuto esponenzialmente. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i polacchi hanno iniziato ad aprire il loro black metal degli esordi a diverse influenze, innanzitutto death metal, con una serie di album per la nostrana Avantgarde. Fu allora che il seme di cui la band di Nergal sta oggi raccogliendo i frutti fu gettato. Negli ultimi anni lo show dei Behemoth è sempre stato accompagnato da una produzione di un certo livello e il ruolo di headliner di questa sera sembra voler capitalizzare sull’impegno profuso in questi anni. Scenografia importante ed effetti pirotecnici a raffica sono parte integrante di uno spettacolo di cui però la band e il suo leader Nergal sono al centro assoluto. Purtroppo, qualche problema tecnico gioca un brutto scherzo e come per guastare la grande occasione di questa sera, l’iniziale Ora Pro Nobis Lucifer viene eseguita con l’assenza quasi totale della voce di Nergal. Ovviamente, gli album più recenti della band, quelli della consacrazione sia di critica che pubblico, sono i più rappresentati nella scaletta di questa sera che si spinge a ritroso nel tempo fino a Satanica del 1999. Il favore delle tenebre ovviamente fornisce il contesto ideale all’esibizione della band polacca, rafforzando la resa scenica dei numerosi effetti pirotecnici utilizzati durante lo show.

behemoth live

Del favore delle tenebre non godranno invece i DIMMU BORGIR il giorno successivo, con un’esecuzione in piena luce nel tardo pomeriggio. Curioso come all’inizio degli anni 2000 la band norvegese fosse tra i massimi epigoni, insieme agli inglesi Cradle of Filth, della popolarizzazione del back metal per le masse. Chi avrebbe immaginato che una realtà promettente come quella dei polacchi Behemoth avrebbe un giorno rubato la scena ai colleghi norvegesi, in termini di traguardi commerciali e di popolarità? Proprio come la band polacca la sera precedente, la band di Shagrath si presenta incappucciata sul palco (decisamente un trend odierno della scena black metal internazionale), con il bassista Victor Brandt relegato su una pedana, dalla quale non scenderà che successivamente quasi come per rimarcare che le personalità principali della band sono quelle di Shagrath, Silenoz e Galder. Il repertorio della band è vasto ed è difficile concentrare un’intera carriera in un singolo concerto, ma il repertorio proposto dalla band questa sera sembra essere principalmente incentrato sui tempi medi e sui brani più atmosferici, dall’apertura di Dimmu Borgir alla chiusura di Mourning Palace.

dimmu borgir live

Le tenebre sono invece nuovamente calate completamente per la meritatissima esibizione da headliner dei leggendari MERCYFUL FATE. Il logo della band (l’originale degli anni ottanta, non le versioni successive) troneggia gigantesco nascondendo il palco fino all’’intro di The Oath, quando l’enorme velo cade e rivela al pubblico la scenografia. Un’enorme scalinata di (finto) marmo, sovrastata da un altare, sul quale a sua volta torreggia una croce rovesciata, sono il contorno visivo scelto dal gruppo danese per questo ritorno sulle scene dopo ben 23 anni di assenza. La scelta di The Oath da Don’t Break the Oath del 1984 con la sua lunga intro è azzeccatissima per l’apertura di questo show. Otto minuti di pura epicità, mistero, intrecci chitarristici e continui cambi di tempo riassumono fin dal primo brano tutta la magia della musica del quintetto danese. Gli anni novanta sono passati da un pezzo, la band non deve più dimostrare di riuscire a rimanere attuale nella scena musicale. I Mercyful Fate sono qui con l’intento più o meno dichiarato di capitalizzare sullo status leggendario che la band ha sempre avuto, e che in questi venti anni di assenza dalle scene è cresciuto costante nel tempo. La scaletta che segue vedrà quasi solo estratti dalle prime tre uscite discografiche della band, ossia i mega classici Melissa del 1983, Don’t Break the Oath e l’EP del 1982. Unica eccezione sarà The Jackal of Salzburg, il brano che comparirà sul novo album della band guidata King Diamond. La formazione è completata da Hank Shermann, unico membro originale della formazione oltre a King Diamond stesso, Bjarne T. Holm alla batteria, lo svedese Mike Wead alla chitarra (già nella band alla fine degli anni novanta) e il nuovo Joey Vera, preso in prestito dagli americani Armored Saint, sostituto del membro originale Timi Hansen, morto di cancro nel 2019. La scelta di Joey Vera, bassista dotato e con un curriculum di tutto rispetto, non ha mai convinto completamente chi scrive per via di una presenza scenica che con i Mercyful Fate c’entra poco. Meglio non entrare in merito poi alla questione sulla scelta criminale di voler omettere da questo ritorno Michael Denner, l’altra metà del duo chitarristico che questo formava con Hank Shermann. Polemiche a parte, la band suona alla grande, con tutta la maestria e la precisione necessaria per rendere giustizia al repertorio della band, oltre a una scaletta superlativa, una produzione e una scenografia decisamente al top. King Diamond ha deciso di cogliere occasione di questo ritorno per reinventare parzialmente la sua immagine. Sempre dotato del suo distintivo corpsepaint, il nostro alternerà per tutto il concerto doversi copricapi, tra i quali si distingue una maschera da caprone satanico. Ventitré anni di assenza dalle scene sono tanti e non si può negare il timore che la band avesse potuto non rivelarsi all’altezza della propria leggenda. Timori che dopo un concerto come quello di questa sera si rivelano infondati. Sarebbe stato bello però se anche Michael Denner e Timi Hansen avessero potuto partecipare. Ad entrambi, sebbene per motivi diversi (Denner, è per fortuna vivo e vegeto, sebbene escluso ingiustamente dalla reunion), va il nostro pensiero.

mercyful fate live

I VIO-LENCE, in programma sul palco principale per la quarta e ultima giornata del festival, aprono il concerto con la title-track del loro album più classico, ossia Eternal Nightmare. Chi avrebbe mai pensato che Phil Demmel, una volta uscito dai Machine Head (che tra l’esibizione della band e la presenza di alcuni ex membri, sarà in qualche modo un elemento ricorrente di questo festival) avrebbe pensato di fare una telefonata a Sean Killian e che i due avrebbero deciso di rimettere in piedi i Vio-Lence, questa volta però senza Robb Flynn. Dopo il coinvolgimento iniziale, il bassista Deen Dell non è della partita ed è stato sostituito da Christian Obe Wolbers (ex-Fear Factory), mentre il posto che fu di Robb Flynn è attualmente occupato nientemeno che da Bobby Gustafson, chitarrista del periodo più classico dei Newyorkesi Overkill. La band della Bay area se l’è dunque cavata rimpiazzando membri originali più o meno importanti con sostituti di alto profilo. La cosa curiosa è che Phil Demmel, motore della band insieme al cantante Sean Killian, non avrebbe partecipato a questa serie di date europee della sua band, in quanto convocato come sostituto temporaneo di Willie Adler per un tour europeo dei Lamb of God. Difficile non nutrire qualche speranza riguardo al fatto che Demmel potesse dunque unirsi ai suoi compagni nei Vio-Lence, in quanto in loco per via dell’esibizione dei Lamb of God in programma la sera stessa. Non solo Demmel sarà presente sul palco con i Vio-Lence, ma lo sarà per tutto il concerto. Con l’immancabile Chris Kontos ai lati del palco (quest’ultimo parteciperà anche ai cori durante Kill On Command), la band statunitense si rende protagonista di uno show di tutto rispetto, per niente arrugginita, nonostante l’ancora recente ritorno sulle scene e la pausa forzata dovuta alla pandemia. Sean Killian, nonostante non sia più un ragazzino, sembra tornato completamente in forze dopo il trapianto di fegato che gli ha salvato la vita qualche anno fa. Il drumming di Perry Strickland poi fa davvero la differenza. Meno famoso di colleghi come Tom Hunting e Paul Bostaph, Strickland è dotato di un abilità come batterista non certo inferiore a questi nomi più famosi.

vio-lence live

Una volta conclusosi lo show dei Vio-Lence, sul palco principale è il turno dei VENOM INC., ossia la versione dei Venom guidati dal chitarrista Jeff Mantas, contrapposta a quella del bassista/cantante Cronos. Per l’esibizione di Bloodstock, la band ha in programma di celebrare i quarant’anni della pubblicazione del seminale album Black Metal, proponendo il disco integralmente dall’inizio alla fine. Come per evitare qualsiasi dubbio in merito, il backdrop raffigurante una versione gigante dell’iconica copertina dell’album indica le date “1982-2022”. Per rendere ancora più speciale questa celebrazione, il trio ha poi assoldato alla batteria nientemeno che l’ex Dimmu Borgir e Cradle of Filth Nicholas Barker, che per l’occasione sfoggia addirittura quattro (!!) grancasse, tutte adornate dal classicissimo bafometto della copertina del disco. La scaletta di questa sera segue quindi la tracklist dello storico album, dall’inizio della title-track alla chiusura dell’intro di At War With Satan, senza nemmeno aggiungere nemmeno un brano del resto del repertorio. La band suona discretamente, Mantas è migliorato molto rispetto agli esordi, il bassista e cantante Tony Dolan è praticamente l’alter ego di Cronos e Nick Barker è in tutta onestà sovra qualificato per le parti di batteria dei Venom. Quello che forse manca alla band è la capacità di intrattenere il pubblico tra un pezzo e l’altro in maniera convincente. Nonostante siano dei veterani della scena, la band di Newcastle si rivela deficitaria da questo punto di vista, con un Jeff Mantas che per esempio accorda lo strumento a pieno volume mentre Tony Dolan cerca di imbastire un botta e risposta col pubblico. Una pecca più che perdonabile per una band influente e una performance più che dignitosa.

venom inc live

Il black metal, non solo come titolo dello storico album dei Venom, ma come genere musicale, tornerà poi protagonista sul palco principale del festival con gli svedesi DARK FUNERAL. Abili mestieranti di questo genere, la band guidata da Lord Ahriman non ha mai raggiunto la popolarità di colossi come Dimmu Borgir (francamente molto più commerciali) e Behemoth, ma ha saputo costruire una carriera basata sulla coerenza e competenza fin dall’esordio Secrets of the Black Arts del 1996, nonostante i numerosi cambi di formazione. Gli svedesi sembrano attraversare un momento fertile iniziato con la pubblicazione di Where the Shadows Forever Reign del 2016, album dell’esordio con la band del cantante Heljarmadr, e che prosegue con il nuovo We are the Apocalypse pubblicato quest’anno, per una band si conferma in forma anche in questa sede.

dark funeral live

La presenza dei KILLING JOKE in un festival prevalentemente heavy metal non è certo la scelta più scontata e la loro presenza rende il cartellone di Bloodstock più interessante e variegato. L’ammirazione di tante band metal per la band post-punk giustifica da sé l’inclusione al festival, senza nemmeno considerare poi l’importanza della storica band inglese in generale e la popolarità di cui ancora gode in patria. La band è tornata dopo la morte del bassista Paul Raven (ex Ministry e Prong) alla formazione originale degli anni ottanta con il rientro del batterista Paul Fergusson e del bassista Youth e da allora (correva l’anno 2008) rimane invariata. La band di Jaz Coleman apre con la classica Wardance dall’omonimo debutto del 1980 e il suono ripetitivo e a tratti claustrofobico della band si rivela in grado di coinvolgere un pubblico prettamente heavy metal come quello di Bloodstock. Gli omonimi album del 1980 e del 2003 (su cui, ricordiamo, cui suonò la batteria un certo Dave Grohl) sono i meglio rappresentati in scaletta, ma episodi di buona parte della discografia sono presenti nella scaletta proposta questa sera. Fanno capolino anche quella The Wait coverizzata proprio dai Metallica e I am the Virus estratta dall’album più recente della band, Pylon del 2015. Lo show scorre senza intoppi veloce e soddisfacente sia per il pubblico che per la band, ma di cui purtroppo non avremo occasione di partecipare fino alla conclusione, giungendo così alla fine dell’esperienza di Bloodstock proprio sulle note della band inglese.

killing joke live

Emanuele Biani

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