BAUHAUS – il live report del concerto all’Alcatraz di Milano

BAUHAUS –  il live report del concerto all’Alcatraz di Milano

BAUHAUS
LIVE @ ALCATRAZ (MI)
06 GIUGNO 2022
Parole di Filippo Contaldo

Il ritorno in Italia dei Bauhaus in formazione originale e completa avviene a ben 23 anni di distanza dall’ultimo concerto, tenutosi anche allora all’Alcatraz di Milano.

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È da annotare che nel 2018 i due membri originari Peter Murphy (voce) e David Jay (basso) si concessero in tre date, in cui ogni esibizione durò mediamente un paio d’ore, contrariamente a quella di cui trattiamo oggi, di solo un’ora e un quarto sebbene tirate e senza pleonastiche interruzioni.

Decisamente poco per un pubblico che, malgrado composto in prevalenza da  ultraquarantenni, difficilmente ha potuto vedere spesso dal vivo gli artisti che con la celeberrima Bela Lugosi’s Dead hanno creato, dal post punk di inizio anni ’80, il primo vero episodio prettamente dark.

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Eppure, nulla nella performance del quartetto di Northampton lascia supporre che si sia trattata di una scelta dovuta a scarsa tenuta vocale dell’ineccepibile e carismatico Murphy o alla mancanza di entusiasmo e partecipazione degli altri membri.

La presenza scenica dei quattro non ha perso nulla del carattere degli esordi; ieratico è apparso David Jay al basso, inconfondibile contraltare cupo e incalzante alla chitarra lacerante di Daniel Ash (visivamente da sempre il più appariscente, questa volta in giacca borchiata e occhiali da sole) in brani come Silent Hedges, Stigmata Martyr o Kick In The Eye. Anche la batteria Kevin Haskins ha confermato e rievocato ciò che il gruppo, agli esordi, definì “il quinto membro Bauhaus”, una qualità di suono e ritmo che trascende quella dei singoli strumenti e diviene un’atmosfera a sé, trascinante e buia, dai minacciosi pezzi di apertura Rosegarden Funeral Of Sores e Double Dare all’immancabile Bela Lugosi’s Dead, cantata come un inno dalla folla.

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Peter Murphy non sarà più lo scarno, infaticabile frontman degli esordi, ma il suo carisma teatrale, sottolineato nella prima parte dell’esibizione da una giacca dalle spalle coperte di fluttuanti penne nere, è inalterato e il pubblico lo celebra devotamente fino alla conclusione affidata a tre cover, Sister Midnight di Iggy Pop e le fondamentali, immancabili Telegram Sam dei T Rex e Ziggy Stardust, per qualcuno persino migliore nel suo furore glam dell’originale di Bowie.

Molti avrebbero volentieri rinunciato a questi classici egregiamente rimaneggiati per poter godere, ad esempio, della tenebrosa Mask dall’album omonimo o dalle eteree Spirit (da The Sky’s Gone Out) e Hope (da Burning From The Inside).

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Auspichiamo quindi che non passino ancora decenni prima di una nuova esibizione che lasci soddisfatti anche i fans più devoti e appassionati.

Setlist:

Rosegarden Funeral of Sores (John Cale cover)
Double Dare
In the Flat Field
A God in an Alcove
In Fear of Fear
Spy in the Cab
She’s in Parties
Kick in the Eye
Bela Lugosi’s Dead
Silent Hedges
The Passion of Lovers
Stigmata Martyr
Dark Entries
Sister Midnight (Iggy Pop cover)
Telegram Sam (T. Rex cover)
Ziggy Stardust (David Bowie cover)

Emanuele Biani

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