CRASHDÏET – intervista con il cantante Gabriel Keyes

CRASHDÏET – intervista con il cantante Gabriel Keyes

Manca una settimana esatta al concerto dei Crashdïet presso l’accogliente location del Legend Club di Milano, e quale migliore occasione per scambiare due chiacchiere con il cantante Gabriel Keyes? Il gruppo svedese ha da poco pubblicato il sesto album Automaton ed è pronto ad incendiare (ehm, metaforicamente parlando) il pubblico italiano con il suo sleaze/glam metal di matrice assolutamente nordica. Come capita spesso agli artisti svedesi, il nostro interlocutore si è rivelato un ragazzo di poche parole, ma questo non gli ha certo impedito di esprimere diversi concetti piuttosto importanti.

Neanche il tempo di pubblicare il nuovo disco e siete già in tour…

“Sì, è un periodo molto eccitante! Abbiamo aspettato così tanto tempo, per liberare questa bestia selvaggia, e adesso è finalmente arrivato il momento”.

Come siete arrivati ​​al titolo dell’album Automaton?

“È un gioco di parole di Martin Sweet (chitarrista e leader della band, ndr) per provare a spiegare che i Crashdïet sono un’inarrestabile macchina rock’n’roll. Appena è saltato fuori, abbiamo capito subito che quello era il titolo giusto per l’album”.

In termini di scrittura dell’album, quanto hai contribuito ad Automaton?

“Per la maggior parte, l’album è opera mia e di Martin. Nel senso che lui ha scritto quasi tutta la musica, mentre io mi sono occupato dei testi e di alcune linee vocali”.

Qual è stato l’apporto degli altri due membri della band, il batterista Eric Young e il bassista Peter London?

“Ehm, direi nessuno (ride, ndr). Tra l’altro Eric non era pronto per partire in tour e in questo momento è stato sostituito da Kari ‘Lacu’ Lahtinen”.

Quanto tempo avete impiegato per comporre i nuovi pezzi?

“Ci è voluto circa un anno… sì, ci è servito un po’ di tempo. Volevamo fare tutto da soli, per imprimere a fuoco il marchio Crashdïet e senza affrettare le cose. Abbiamo scritto dal primo all’ultimo giorno, anche poco prima di entrare in studio”.

Come paragoneresti il ​​nuovo album dei Crashdïet a quelli vecchi?

“Penso che Automaton sia il disco più pesante e versatile dei Crashdïet. Credo anche che la scrittura delle canzoni e dei testi sia molto diversificata tra le varie canzoni. È un album più maturo, immagino”.

Quali argomenti hai affrontato nei testi?

“Tutto ciò che ha a che fare con la vita reale. Cose in cui siamo coinvolti ed altre per cui, a volte, ci sentiamo sconvolti. Ci sono aspetti del mondo che non ci piacciono ed altri con cui possiamo relazionarci. Può sembrare una risposta generica, ma è l’unica possibile”.

Sembra che tu stia facendo un bel po’ di interviste, quindi è una scelta consapevole quella di metterti in primo piano come portavoce della band?

“Non è quello, è che semplicemente mi piace. Amo parlare, fare interviste e confrontarmi. Gli altri ragazzi lo stanno facendo da tanti anni, quindi a un certo punto mi hanno detto: ‘Puoi farlo tu, Gabriel, vero?’ (ride, ndr). Scherzi a parte, mi presto volentieri all’aspetto promozionale della musica”.

Come sei riuscito ad inserirti nel legame speciale tra tre musicisti che suonano insieme da vent’anni?

“Penso che anche quello tra me e loro sia un legame speciale. Ci divertiamo sempre, sai. Ridiamo, parliamo e non smettiamo mai di divertirci quando siamo in tour o suoniamo in sala prove. È come una commedia senza fine, in cui nessuno riesce mai a restare serio. Penso che questo ingrediente sia fondamentale per una buona chimica della band. Fin dal primo giorno, tutto è sembrato abbastanza naturale. Avevamo lo stesso senso dell’umorismo, e quando tutti capiscono una buona battuta, l’atmosfera diventa subito rilassata”.

Essere il quarto cantante nella storia della band ti espone a tanti paragoni scomodi con i tuoi predecessori…

“È davvero divertente leggere le opinioni di tante persone che non conosci. Quando sono entrato in questa band, ero un ragazzo normalissimo. Prima di allora, cercavo di suonare in qualsiasi locale di Stoccolma mi offrisse un’opportunità. Per un paio d’anni ho persino portato i capelli corti (ride, ndr). Con i Crashdïet ho dovuto rimettermi in sesto e sto ancora cercando di tornare al mio stile, al mio lato artistico. Posso capire che a volte le persone non amino la mia voce,  ma il punto è che non sto cercando di cambiare me stesso perché la gente lo vuole. Sto trovando la mia immagine, il mio modo di essere, quindi le critiche aiutano a crescere e non mi infastidiscono affatto. Poi mi faccio un sacco di risate sui commenti più stupidi, che mi paragonano a Justin Bieber o a Nick Carter dei Backstreet Boys. Beh, sapete una cosa? Chiamatemi come cazzo vi pare! A me viene solo da ridere”.

Emanuele Biani

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