EPIC FEST 2025 il nostro live report

EPIC FEST 2025 il nostro live report
EPIC FEST 2025 – CAPITOLO 3: The Battle of Beasts – il nostro live report
Parole e foto di Romano Depolo
C’è ancora posto in Europa per un festival dedicato integralmente a sonorità power?
Analizzando la crescita di ogni parametro messo in campo dagli organizzatori dell’Epic Fest, la risposta è un grandissimo si!
Procediamo però per ordine, ricordando che quella del 2025 è stata la terza edizione del festival danese.
Roskilde si trova a una trentina di chilometri da Copenaghen e, ovviamente, venne fondata dai vichinghi!
Piace pensare che parte di quella carica ancestrale scorra ancora oggi nel sangue di chi si è fatto carico di organizzare questo festival.
Nella prima edizione i concerti si tenevano all’interno del Gimle, un piacevole locale da 600 posti.
Per l’edizione 2025 sono state aggiunte altre due sale da 800 e 2000 posti all’interno del Roskilde Kongres & Idrætscenter.
Epic Fest si differenzia da altri festival simili europei per il fatto che l’offerta si basa su due diversi livelli.
Alla parte prettamente musicale si associa infatti un raduno di appassionati di tutto quello che riguarda l’area fantasy: dai giochi al cosplay!
Si viene così a creare un insieme sonoro e visuale che separa la due giorni danese dalla vita reale.
La grande idea dell’organizzazione consiste nel fornire un’offerta multivariata di tutto ciò che è assimilabile alla scena power.
In questo modo è possibile assistere a prestazioni di grandi del passato, ancorate su sonorità classiche, e scoprire nuove band dall’approccio molto più moderno.
Power, classic, folk, epic, progressive power, symphonic … c’è tutto quello che un appassionato può aspettarsi.
E i nomi sono di primissimo livello.
Prima di addentrarci nel commento di questi due giorni fantastici a Roskilde, credo sia necessario sottolineare la professionalità dell’organizzazione.
Tutto è filato alla perfezione, tralasciando qualche lamentela dei fotografi che non sopportano le luci posizionate a fondo palco.
Ma quello che più conta è l’assoluta puntualità, il suono perfetto, gli affollati meet & greet e l’enorme bancone del merchandising.
Sui costi degli approvvigionamenti si potrebbe aprire un discorso molto lungo, ma siamo in Danimarca e la Corona Danese è una valuta pregiata!
Alla fine il giudizio non può che essere positivissimo!
Sono già stati resi noti i nomi di alcuni protagonisti dell’edizione 2026: se Sonata Arctica, Firewind, Twilight Force e Darkmoor rappresentano un richiamo importante, che dire della prima europea del nuovo progetto solista di Roy Khan?
Ci vediamo a Roskilde, il 10 e 11 Aprile 2026!
GIORNO 1 – Venerdì 4 Aprile 2025
BATTLE BORN
Non è mai facile essere chiamati ad aprire un festival, ma i Battle Born hanno giocato alla grande le loro carte.
Fedeli al detto in base al quale tutte le occasioni devono sempre essere sfruttate, gli inglesi hanno dato al caldissimo pubblico quello che tutti si aspettavano.
Una perfetta lezione di power metal di stampo britannico, con qualche tocco moderato di melodia.
Lo spazio sul palco del Gimle è piuttosto angusto, ma non basta a frenare la predisposizione per la teatralità del quintetto inglese.
Chitarre affilate, suoni di battaglia e voci ammalianti: tutto è così dannatamente perfetto, con quegli apostrofati richiami alla scena ottantiana che a un certo punto esplodono con le cover di Burning Heart (Survivor) ed Electric Eye (Judas Priest).
Un’ottima attitudine che ha pienamente soddisfatto i presenti.
INDUCTION
La formazione del gruppo di Tim Hansen è totalmente rivoluzionata, ma ormai siamo abituati a questa girandola di musicisti.
L’aspetto importante è che la qualità sul palco sia sempre alta.
Fortunatamente questo aspetto è assicurato dalla presenza del giovanissimo chitarrista finlandese Justus Sahlman e dal nostro Gabriele Gozzi al microfono.
I musicisti sono giovanissimi, ma sul palco sembrano dei veterani perché ripropongono a memoria le pose sincronizzate che tanto vanno di moda nel metallo classico.
La potenza del power scorre a fiumi, perfettamente supportata dalla voce dell’ottimo Gozzi, mentre Hansen sorride soddisfatto per la prestazione della sua band.
La canzone inedita Beyond Horizon lascia ben sperare per il prossimo album che sarà pubblicato nel corso dell’anno.
FABIO LIONE’S DAWN OF VICTORY
Fortunatamente l’ennesimo sequel derivante dall’eredità artistica dei Rhapsody non utilizza il nome del gruppo principale.
Si tratta di un progetto solista del cantante originale dei Rhapsody che, al momento, non sappiamo se avrà un seguito.
L’enorme palco del The Realm Of Might And Magic è popolato anche dal Roskilde Domkirkes Pigekor, il coro della cattedrale di Roskilde, grazie al quale il livello dell’epicità raggiunge livelli altissimi.
La scaletta è basata su brani dei primi album dei Rhapsody, presentati con classe e maestria da un Lione in buona forma.
Sembra un po’ fuori fase il chitarrista Dominique Leurquin, ma ciò non riduce l’impatto di brani che hanno fatto la storia del metal. S
i tratta, a tutti gli effetti, di una cover band, ma il risultato è veramente degno di nota.
Non è chiaro il senso della cover di We Are The Champions dei Queen, ma il set è stato apprezzato dal numeroso pubblico.
THEOCRACY – SET ACUSTICO
Il momento più intenso della due giorni danese si presenta in concomitanza dell’evento speciale organizzato per i Theocracy all’interno della Roskilde Domkirke.
Davanti alle tombe dei principali coronati danesi si è realizzato uno show unico nel suo genere, alla presenza di un paio di centinaia di fan che hanno riempito tutte le panche delle ampie navate.
La particolare location ha creato una solennità che il gruppo di Matt Smith è riuscito ad elevare a livelli inimmaginabili grazie a una serie di brani totalmente destrutturati per essere presentati in chiave acustica.
Il risultato finale è stato eccellente grazie a brani spettacolari che pur privati della loro componente elettrica non perdono nulla del loro fascino.
Il pubblico ha assistito in un rispettoso e religioso – a tutti gli effetti – silenzio che solo i ripetuti incoraggiamenti di Smith sono riusciti a rompere.
STRATOVARIUS
Il grandissimo pregio del gruppo finlandese consiste nell’avere un paio di dozzine di brani storici eccezionali che ottengono sempre un incondizionato supporto da parte dei fan.
In questo caso aggiungiamo una prestazione sopra la media di Kotipelto, per cui è facile capire le ragioni per cui l’esibizione degli Stratovarius sia stata una tra le più apprezzate del festival.
I brani più recenti servono solo per accrescere l’attesa dei successi di una vita come Forever Free, Will The Sune Rise? e dell’immancabile Black Diamond.
Le 2.000 persone accatastate davanti all’enorme palco dimostrano di apprezzare, anche se – come sempre – la presenza scenica della band finlandese non è particolarmente esuberante.
Il detto in base al quale la musica parla da sé non è mai stato così vero e la conferma arriva in concomitanza con l’ultimo brano, Hunting High And Low che da il colpo di grazia al numeroso pubblico.
MAJESTICA
Si resta in Scandinavia, ma si passa la frontiera con la Svezia per raggiungere i Majestica, che hanno appena pubblicato il nuovo album Power Train.
Alla presenza di un pubblico numerosissimo che ha totalmente riempito la King Roars Hall, è andato in scena uno spettacolo con qualche ombra di troppo, a causa della performance vocale non sempre convincente da parte di Tommy Johansson.
Dopo un trittico iniziale assolutamente convincente, il cantante ha iniziato a palesare qualche difficoltà che non gli ha permesso di raggiungere le tonalità – a dire il vero altissime – delle versioni originali.
I brani hanno così perso parte del loro appeal, ma il concerto è continuato senza particolari scossoni fino alla fine.
I fan non hanno perso occasione per dimostrare il loro supporto alla band che ha concluso il set visibilmente soddisfatta.
ROSS THE BOSS
Al di là del fatto che il gruppo del chitarrista originale dei Manowar dovrebbe essere l’headliner della serata, l’affluenza del pubblico è nettamente inferiore rispetto a quella degli Stratovarius.
Se c’è una persona che non si fa intimorire da questo tipo di problemi è il cantante Marc Lopes, che più del leader della band ha segnato lo show, non lesinando alcuna energia durante il concerto.
La scaletta era ovviamente incentrata sugli storici brani dei primi album dei Manowar.
Non sono quindi mancate alcune battute in merito al fatto che si trattava dell’ennesima cover band, ma le esecuzioni perfette e il grandissimo carisma del chitarrista di New York hanno superato ogni obiezione.
Mountains e Guyana hanno permesso di vedere il lato più profondo di Ross The Boss, ma le vere esplosioni di consenso hanno avuto luogo durante Battle Hymn e specialmente in occasione del brano posto in chiusura: Hail and Kill!
GIORNO 2 – Sabato 5 Aprile 2025
EPIC FEST 2025 il nostro live report
PAGAN’S MIND
Il gruppo norvegese ha appeso gli strumenti al classico chiodo per sei anni, prima di sentire nuovamente il forte richiamo delle esibizioni dal vivo.
Il nuovo percorso è iniziato da pochissimo e quella danese è solo la quarta data post reunion.
Le belle abitudini non si perdono mai e il quintetto di Skien dimostra facilmente i motivi per cui, nei momenti migliori, era considerato come uno dei volti nuovi della scena progressive metal melodica.
La lunga pausa non ha fortunatamente appannato la capacità di Nils K. Rue di tenere il palco e raggiungere tonalità altissime.
La vera arma illegale dei Pagan’s Mind ha comunque un sorriso costantemente stampato sulla faccia e il suo nome è Jørn Viggo Lofstad.
Un chitarrista che con una enorme dose di umiltà riesce da sempre a disegnare atmosfere eccezionali.
Fin dalla traccia di apertura Osiris’ Triumphant Return lo stile della band, potente ma pur sempre melodico, ha ammaliato i presenti che, in buona parte, erano li proprio per loro.
ROYAL HUNT
Affermare che lo show dei Royal Hunt abbia rappresentato l’unica grande delusione dell’Epic Fest 2025 sarebbe ingeneroso.
Tuttavia, nel momento in cui Mark Boals è comparso sul palco, un migliaio di persone si sono domandate dove fosse D.C. Cooper.
La domanda non avrà risposta, per cui la valutazione della prestazione dei danesi va contestualizzata.
Mark Boals è un ottimo cantante, ma nel momento in cui la serata è incentrata sulla riproposizione integrale del capolavoro Paradox, trovarsi innanzi a un protagonista diverso da chi impreziosì quelle tracce con la propria voce non può che lasciare interdetti.
L’istrionico tastierista e leader Andre Andersen se la ride a ragione perché può contare su un chitarrista di altissimo livello come Jonas Larsen.
Il concerto è stato di altissimo livello, ma il peccato originale ha lasciato un forte senso di insoddisfazione in molti fan.
CRIMSON GLORY
Per tanti dei presenti il nome della band della Florida è legato a filo doppio alla figura del cantante originale Midnight, scomparso nel 2009.
I Crimson Glory hanno cercato, più volte, di recuperare tutti gli anni perduti e questa volata potrebbero aver pescato il classico jolly nella persona di Travis Willis.
Il cantante texano è infatti ugualmente dotato di grande umiltà e tecnica sopraffina.
Fin dal primo accordo di Valhalla nella sala è calato uno sbalordito silenzio a causa dell’incredibile similitudine con le tonalità dell’indimenticabile predecessore.
Il concerto è proseguito in questa strana bolla nostalgica, con i brani dei primi due album che fioccavano taglienti e potenti come se fossero stati appena scritti.
Merito della forma di questi musicisti che al di là della loro età mantengono ancora una forma fisica invidiabile e un’enorme capacità di convincere, spinti dalla forte volontà di riprendersi, almeno in parte, ciò che il destino ha loro tolto.
WIND ROSE
Questo pezzo d’Italia ha avuto un ruolo veramente importante all’Epic Fest, al punto che si potrebbe dire che – basandosi sui dati dell’affluenza – sono stati nettamente i vincitori della due giorni danese.
Sul palco, come se fossero usciti dalle profondità di una sperduta miniera, arrivano i Wind Rose guidati dal carismatico Francesco Cavalieri.
I guerrieri del dwarf metal, vestiti con le loro armature, conquistano la scena senza esitazione nella totale esaltazione dei presenti che cantano tutti i brani.
Il successo dei Wind Rose è facilmente spiegabile attraverso un semplice aggettivo: la loro musica è contagiosa perché è un perfetto sinonimo di festa tribale che fa saltare centinaia di persone inebriate.
musicisti sul palco svolgono il loro compito con assoluta devozione verso il pubblico e senza un attimo di tregua, riversando la loro debordante energia.
La celebre Diggy Diggy Hole segna la fine di un concerto che resterà a lungo nei ricordi dei presenti.
THEOCRACY
Ha senso ripresentarsi davanti al pubblico per un’esibizione elettrica a 24 ore di distanza dallo show acustico tenuto nella cattedrale di Roskilde?
La risposta è positiva perché è come confrontare un film a colori con uno in bianco e nero.
Uno dei due non deve necessariamente primeggiare sull’altro perché sono semplicemente espressioni diverse della stessa fonte.
Quello che è innegabile è che quando c’è grande classe, le cose riescono sempre bene per cui alla fine non è facile dire quale dei due concerti sia stato il migliore.
I musicisti dimostrano di trovarsi meglio nell’ambiente a loro più consono, con il potente impianto di amplificazione della King’s Roar Hall a supportare la loro seconda esibizione.
Matt Smith ha la possibilità di esprimersi su tonalità a lui più congeniali e la sua fiducia è nettamente contagiosa perché i suoi compagni riescono ad esprimersi su coordinate più convincenti.
L’esibizione conferma che i Theocracy meriterebbero molto più di quanto hanno raccolto fino ad ora.
FELLOWSHIP
In teoria, il ruolo di headliner della seconda giornata toccherebbe al gruppo inglese, ma si è già detto da che parte ha battuto il cuore di Roskilde.
Ciò non toglie che i Fellowship, supportati da tantissimi fan, abbiano messo in scena uno show convincente sotto vari punti di vista.
Manca un po’ di sana componente heavy all’interno della loro musica.
Anche le frequenti trovate comiche sul palco fanno storcere il naso a chi continua a pensare che la musica heavy sia una cosa seria.
Nonostante ciò, la band riesce a strappare parecchi consensi da quella parte di fan che tende ad apprezzare più la parte visuale rispetto a quella sonora.
I costumi di stampo medievale enfatizzano ancora di più le zuccherate melodie e sono molto apprezzati dal pubblico dell’Epic Fest, così come il loro allegrissimo happy metal.
Ogni canzone potrebbe essere utilizzata come colonna sonora per un cartone animato, ma ciò non disturba affatto la maggior parte del pubblico, che celebra freneticamente ogni canzone del quartetto.
Tante luci, qualche ombra, ma ciò che conta è il parere del pubblico che è stato assolutamente positivo. La terza edizione del festival è ormai parte del passato e il duro lavoro per l’organizzazione dell’evento che avrà luogo la prossima primavera è già iniziato. Non è difficile ipotizzare che sarà un nuovo successo annunciato!
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